domenica 15 gennaio 2023
Sergio Favretto ricostruisce la vicenda dei partigiani che operarono sul confine italo-francese e che misero in salvo molti ebrei e antifascisti. Tra loro tanti religiosi
Messa da campo officiata da don Paolo Regis a Viozene con i partigiani della V Brigata “Nuvoloni”

Messa da campo officiata da don Paolo Regis a Viozene con i partigiani della V Brigata “Nuvoloni” - archivio

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«Dopo una curva, improvvisamente il mare», recitava una canzone di Ivano Fossati. E per noi piemontesi, abituati sin da bambini a sentire raccontare la Resistenza sulle montagne e sulle Langhe, questo libro di Sergio Favretto che ci parla di antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, è una lieta sorpresa ( Partigiani del mare, Seb27, pagine 260, euro 18,00). Perché, anche se spesso nel libro si parla della lotta armata nell’entroterra, il protagonista sotteso dalla prima all’ultima pagina è lui: il mare. I flutti battenti, le spiagge minate, il vento sulle onde, la luna piena o l’assenza di luna. Ognuno di questi elementi poteva segnare, in un senso o nell’altro, l’andamento di una tenace lotta contro un occupante tedesco particolarmente feroce. Già autore di importanti saggi sulle missioni inglesi e americane e i loro rapporti con la Resistenza nel Nord-Ovest, Favretto ci racconta, in questo libro, il tessuto sociale, culturale e militare in cui le missioni alleate operarono: le reti dei vecchi antifascisti, le formazioni partigiane, la Chiesa, i regi Carabinieri. Soffermandosi anche su singole figure o vicende personali o familiari non sempre note. Spicca l’efficace descrizione dell’attività del “Gruppo Sbarchi”, che in modi spesso acrobatici, nelle notti senza luna trasporta persone (ebrei, partigiani feriti, ufficiali inglesi e americani), viveri, armi, radio ricetrasmittenti. Qui, davvero, il mare non è solo «elemento geografico e fisico irrinunciabile» ma assume il volto mitico del «vero confine fra il regime e la libertà». Per ben comprendere il racconto è necessario tenere a mente tre date, che cambiano fino a capovolgere il quadro in cui si svolge l’azione. Novembre 1942: i tedeschi occupano militarmente la Francia di Vichy (da Bordeaux fino a Marsiglia) che così dipende quasi totalmente dalla Germania; mentre le truppe dell’esercito italiano, su ordine di Hitler, occupano e governano la Costa Azzurra fino a Tolone. Poiché le autorità fasciste italiane avevano verso gli ebrei un atteggiamento più cauto e rispettoso della polizia tedesca, da quel momento le decine di migliaia di ebrei che nei mesi precedenti si erano rifugiati nella Francia del Sud cercano di raggiungere la zona di influenza italiana (soprattutto Nizza e Grenoble) con l’aiuto capillare e organizzato degli antifascisti italiani. Seconda data: 8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio e abbandona le terre oltre confine. I tedeschi occupano così anche la Costa Azzurra, con aumento dei rischi per i profughi. Infine, 15 agosto 1944: gli Alleati sbarcano nella Francia meridionale che, da quel momento, torna ad essere terra di approdo di ebrei ed antifascisti. Per ricostruire il fitto tessuto delle azioni che, in questo tumultuoso avvicendarsi di scenari, costantemente assicurano aiuto e soccorso, Favretto attinge, oltre che ai documenti degli istituti storici della Resistenza, anche ad archivi locali (pubblici e privati) e alle carte dell’Archivio storico della Segreteria di Stato della Santa Sede. Quest’ultima fonte si rivela preziosa per delineare (soprattutto per la fase successiva all’8 settembre ’43) le mille iniziative di aiuto agli ebrei da parte di tutta la popolazione ed in particolare di una Chiesa cattolica di base, avallata dalle massime autorità ecclesiastiche romane. In questo quadro si inserisce la nota opera di Pierre-Marie Benoît (francescano che nel 1966 sarà insignito del titolo di “Giusto fra le nazioni”) che, trasferitosi da Marsiglia a Nizza e Mentone (dopo il novembre ’42) per poter continuare la sua opera di salvataggio di ebrei, attuò una triangolazione con il banchiere ebreo Angelo Donati e il Vaticano (incontrando anche Pio XII) per organizzare un trasferimento di massa di ebrei in Italia e, da qui, verso il Nordafrica e Israele (piano che tramontò con l’armistizio dell’8 settembre ‘43 e il conseguente incontrastato dominio tedesco sulla Costa Azzurra). Meno nota e comunque spesso dimenticata è l’opera della rete di parroci e frati cappuccini che – sostenuta da un personaggio straordinario come il vescovo di Ventimiglia Agostino Rousset – è protagonista di quotidiane azioni coraggiose che vanno dalla negoziazione con i tedeschi per liberare ostaggi destinati alla fucilazione al rifiuto di inviare una lettera pubblica che invocasse aiuto e rispetto alle truppe germaniche («mai a poi mai, n’andasse la vita» – rispose Rousset alle autorità militari che glielo chiedevano); dalla partecipazione ad azioni di una brigata garibaldina (don Paolo Regis) alla cura e diffusione di periodici partigiani; dalla falsificazione di documenti in favore di ebrei e partigiani al tentativo (purtroppo infruttuoso) di difendere l’abitato di Molini di Triora quando, nel luglio 1944, l’intero paese fu incendiato e ventinove persone trucidate (tra cui una sedicenne, richiusa ed arsa viva in un casale). Molti religiosi pagarono con la vita questo loro impegno a favore dei partigiani e dei civili: don Vittorio De Andreis e don Pietro De Carli, torturati e bruciati vivi sopra una legnaia perché si erano rifiutati di indicare i luoghi in cui si nascondevano i partigiani; don Enrico Pietro, torturato e fucilato per lo stesso motivo; don Stanislao Barthus e il chierico Mario Bellino, fucilati perché accusati di aiutare i partigiani garibaldini. Questa rete di fattiva solidarietà è la spina dorsale di uno straordinario coinvolgimento delle comunità locali nella Resistenza. Un episodio parla per tutti: a fine ’43 due bambini ebrei tedeschi, i cui genitori erano stati deportati ad Auschwitz, vengono adottati da Angelo Donati e affidati, con falso nome, a una coppia di domestici di Creppo di Triora. Vi rimarranno fino al 25 aprile 1945. Tutta la comunità sapeva. Tutta la comunità li protesse con un infrangibile silenzio. Nonostante che il paese fosse continuo bersaglio di rastrellamenti. Come dice Claudio Dellavalle nella sua prefazione, basta un fatto come questo per incrinare il concetto di “zona grigia” nel Nord Italia, la tanto diffusa idea di un «supposto prevalere nella popolazione di un atteggiamento di equidistanza-indifferenza fra le parti». Certo, le risposte della società furono differenziate. Ma la stragrande maggioranza della popolazione seppe subito distinguere da che parte stava la ragione.

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