mercoledì 1 luglio 2009
Da settembre dirigerà i prestigiosi laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare sull’Appennino: parla Lucia Votano.
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I terremoto del 6 aprile in A­bruzzo non ha dirottato gli ombrosi e quasi inafferrabili neutrini, che proprio nei Labora­tori del Gran Sasso vengono inter­cettati e studiati per capire l’intima struttura della materia. Gli scien­ziati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) fanno ricerca sotto 1500 metri di roccia, perché sol­tanto qui gli esperimenti più deli­cati possono avvenire al riparo dalle radiazioni cosmiche. Ma nel­le imponenti sale costruite dentro la montagna, lunghe ognuna circa cento metri e alte venti, che sem­brano palazzi ricavati nel nocciolo della giogaia appenninica, in cui si indagano fenomeni rari e di note­vole livello, quelle lunghe scosse sismiche devono aver creato un’at­mosfera sottilmente allarmante. Già in tempi normali questo mae­stoso laboratorio, in cui non entra mai la luce del sole, innesca un’in­negabile suggestione nel visitatore e lo fa andare col pensiero al Verne del Viaggio al centro della Terra. «Nei nostri laboratori però il sisma non ha prodotto danni: gli appara­ti sono progettati per resistere a terremoti di gran lunga superiori, e all’interno della montagna l’inten­sità di un sisma subisce un’atte­nuazione di tre-quattro volte». Par­la Lucia Votano, 61 anni, calabrese, che a settembre assumerà l’incari­co di direttrice dei Laboratori del Gran Sasso, prima donna al vertice di un poderoso complesso di ricer­ca. Da oltre 35 anni, nell’ambito dell’Istituto nazionale di fisica nu­cleare, la professoressa partecipa alla realizzazione di esperimenti chiave: ha lavorato al Cern di Gi­nevra e al laboratorio Desy di Am­burgo; ora è impegnata nell’espe­rimento «Opera» che ha per ogget­to i neutrini provenienti dal Cern di Ginevra. Professoressa Votano, che effetto fa trovarsi nel più grande labora­torio sotterraneo del mondo e sentire le onde del terremoto? «L’epicentro era molto vicino. Era notte, ma i laboratori all’interno del Gran Sasso sono sempre presi­diati. E i colleghi del turno di notte il terremoto l’hanno avvertito. Co­munque abbiamo subito affronta­to l’emergenza. Una rete immedia­ta di telefonate, e abbiamo capito come stavano tutti i dipendenti e gli associati. Per fortuna nessuno aveva perso la vita: solo pochi i fe­riti, prontamente curati». Nei vostri Laboratori, fiore all’oc­chiello della ricerca italiana, ruo­tano quasi un migliaio di persone. Una grande comunità di scienzia­ti.  Perciò il rischio era grande... «Alcuni hanno trovato la casa di­strutta, in moltissimi casi era ina­bitabile. Tuttavia il personale ha effettuato immediatamente i primi controlli agli impianti e agli appa­rati sperimentali. Rispettando le regole di sicurezza e accompagnati dall’attuale direttore, professor Eu­genio Coccia, insieme con altri colleghi, anche noi siamo andati subito a verificare che cosa era successo al nostro esperimento. È scattata la solidarietà e non solo a titolo personale. Il professor Coc­cia, tutta la giunta e il consiglio di­rettivo dell’Infn hanno deliberato aiuti che sono andati ad aggiun­gersi a quelli della Protezione civi­le. I laboratori dovevano riprende­re completamente le attività, il più presto possibile». Il lavoro di ricerca non ha subìto rallentamenti? «Si dormiva in macchina, in tenda, in container. Devo dare pubblico atto di riconoscimento a tutti: no­nostante lo stress, la paura per le scosse che si ripetevano, quasi tut­ti sono tornati immediatamente al loro posto; Coccia ha riaperto uffi­cialmente il Laboratorio, a meno di un mese dal sisma. Le attività non si sono mai fermate». Tra l’altro, eravate impegnati in u­na delle imprese scientifiche più attese e difficili: controllare e stu­diare i neutrini in viaggio dal Cern di Ginevra. «Gli scienziati di 'Opera' si stava­no preparando alla scadenza del primo giugno quando dal Cern sa­rebbe arrivato il fascio di neutrini. E questo è un merito che va attri­buito a tutto il personale del Gran Sasso, e a tutto l’Infn: fa onore ai Laboratori, voluti – alla fine degli anni ’70 – da Antonino Zichichi, che con questa scelta guardò lon­tano ». Perché la tenace caccia al neutri­no? «Per conoscere la sua natura. Il neutrino è un elemento fonda­mentale delle interazioni all’inter­no della materia. Tra le tante radia­zioni cosmiche di cui è piena l’at­mosfera e che ci attraversano in continuazione, ci sono anche i neutrini, particelle elementari la cui massa è da 100 mila a un milio­ne di volte inferiore a quella dell’e­lettrone. Piovono in grande quan­tità dal Sole, tipicamente prodotte nei processi di fusione nucleare al­l’interno delle stelle. Con 'Opera' vogliamo dimostrare inequivoca­bilmente che i tre tipi di neutrini (elettronico, muonico e tau) si me­scolano tra di loro dando luogo al fenomeno che chiamiamo oscilla­zione dei neutrini. Dal Cern parto­no neutrini di un solo tipo, muoni­co. Noi li rileviamo e misuriamo. Se riusciamo a vedere che anche un solo neutrino è cambiato, ecco la prova diretta dell’oscillazione del neutrino. Queste scoperte po­tranno permetterci di rivedere teo­rie fondamentali della fisica». Lei dirigerà questo famoso centro di ricerca e ha famiglia. È una doppia conquista, la sua. Smenti­sce chi raccomanda alle giovani ricercatrici di non sposarsi e non avere figli...«Conosco tante donne che fanno ottima scienza e non trascurano affatto la famiglia. È chiaro che l’impegno è maggiore. Chi fa scienza è più occupata. Riesce a conciliare le varie esigenze solo grazie a una sapiente organizza­zione, un accordo e una collabora­zione da parte del marito, un aiuto dai parenti stretti. Io tutto ciò l’ho avuto».
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