L’ex bomber del Sassuolo e della Nazionale Gianluca Scamacca, passato al West Ham che lo ha pagato 42 milioni di euro
Investimenti sul mercato superiori al montepremi complessivo della Champions League e perfettamente identici alle spese effettuate durante questa campagna acquisti estiva dagli altri principali quattro campionati europei messi insieme. La sessione chiusa ieri ha segnato un altro passo in avanti del predominio incontrastato della Premier League sugli altri movimenti calcistici continentali. Il campionato inglese ormai è una SuperLega nazionale. Le 20 squadre partecipanti al torneo d’Oltremanica si sono rafforzate utilizzando la fantasmagorica cifra di 2,16 miliardi di euro in acquisti. Più del montepremi della Champions League 2022-23, pari a 2,02 miliardi. D’altronde il club che solleva la Coppa Campioni incassa dalla Uefa circa 85 milioni. La squadra della Premier che incamera meno soldi in diritti tv si attesta intorno ai 115 milioni. Partecipare al campionato inglese consente di ricavare più che vincere la Champions. Il confronto ormai non esiste più. Gli altri quattro campionati tradizionalmente inseriti nella categoria Top 5 (anche se ormai bisognerebbe parlare di 1+4) messi insieme hanno investito esattamente la stessa cifra della Premier da sola: 747 milioni la Serie A, 482 la Bundesliga, 479 la Ligue 1, 461 la Liga. Il parallelo diventa ancora più impressionante prendendo in considerazione i saldi attivi e passivi. Serie A, Bundesliga e Ligue 1 hanno chiuso in attivo, quindi hanno venduto più di quanto abbiano comprato. La Liga invece è in rosso di 66,5 milioni. In totale questi quattro campionati hanno chiuso a +16 milioni. La Premier League ha fatto segnare un disavanzo di 1,3 miliardi.
Significa che i club inglesi possono comprare senza alcun vincolo, non devono nemmeno pensare a coprirsi un po’ cedendo qualche giocatore. Generalmente gli esuberi vengono piazzati in prestito, poi si vedrà. La definizione di Top 5 andrebbe rivista perché ormai la distanza tra Premier League e gli altri quattro campionati principali è nettamente superiore a quella tra Serie A, Bundesliga, Liga e Ligue 1 con chi segue. I primi in ordine di spesa, dopo le cinque posizioni di testa, sono Olanda, Portogallo e Belgio con 177, 167 e 114 milioni. Quindi sono più vicini al gruppo di coda dei Top 5, di quanto non lo siano Italia, Francia, Spagna e Germania con l’Inghilterra. Secondo i dati di Transfermarkt, il West Ham ha speso 182 milioni e il Nottingham Forrest 159, più di Barcellona e Bayern Monaco. Nelle prime 10 posizioni ci sono otto club inglesi: gli unici intrusi sono appunto catalani e bavaresi. La Serie A cerca di tenere testa grazie alla capacità di tanti direttori sportivi che riescono a pescare buoni giocatori da valorizzare e rivendere a cifre superiori. Le uscite, infatti, sono pari a 749 milioni, appena 154 in meno della Premier che però spende 1,4 miliardi in più per le entrate. Il solco nasce altrove. Dalla qualità degli stadi, colpa soprattutto della burocrazia del Paese. E dalla differenza abissale della commercializzazione dei diritti tv esteri.
La Premier League incassa da questa voce 2 miliardi a stagione. Quasi dieci volte di più della Serie A che viaggia intorno a quota 230 milioni, meno rispetto al triennio precedente (2018-21). Qui entrano in gioco le incrostazioni che hanno bloccato la crescita del campionato italiano negli ultimi 15 anni, impedendo il passaggio dal calcio delle grandi famiglie a quello delle aziende che devono saper competere su scala globale. I vertici della Lega stanno cercando di rimediare, come dimostrano alcune iniziative positive: ad esempio, la valorizzazione della finale di Coppa Italia o l’apertura del centro di produzione tv a Lissone. Sono i veti tra club a impedire di marciare insieme verso gli obiettivi necessari, in uno scenario politico condizionato da più di un decennio dalla figura di Claudio Lotito che ogni volta a coalizza intorno a sé consensi variabili. Le nuove proprietà americane potrebbero essere fondamentali per modernizzare le strategie economiche e commerciali, portando un vento di sport business Nba, Nfl o Mlb. Ma finora non sono riuscite a diventare protagoniste della politica calcistica, appoggiandosi talvolta a referenti italiani che non incarnano esattamente una prospettiva di svolta rispetto al passato. Per citare l’esempio più recente, il neoproprietario del Milan, il fondatore di RedBird Gerry Cardinale, ha tra i componenti della sua cordata di investitori Riccardo Silva, l’imprenditore milanese che ha gestito per quasi un decennio i diritti tv esteri della Serie A, nella fase in cui ha iniziato a crearsi il solco con la Premier League. O con la Liga che attualmente incassa 897 milioni da questa voce. Non a caso i club spagnoli sono gli unici che tengono testa alle squadre inglesi in Champions. Anche la Bundesliga, che a differenza di Premier e Liga non può basarsi sul vantaggio della lingua (inglese e spagnolo parlati in tutto il mondo), incassa comunque più della Serie A dai diritti esteri: 360 milioni. È una questione di politica condivisa. Il vero grande fiore all’occhiello della Premier League che ha saputo confezionare un prodotto unico fino a recitare la parte del tiranno, diventando qualcosa di più di un campionato nazionale.