sabato 27 maggio 2023
La vittoria va al film “Anatomie d’une Chute”. Migliore regia Anh Hung, migliori attori Koji Yakusho e Merve Dizdar
La gioia della regista Justine Triet, Palma d’Oro per il miglior film del 76° Festival di Cannes, "Anatomie d'une chute”

La gioia della regista Justine Triet, Palma d’Oro per il miglior film del 76° Festival di Cannes, "Anatomie d'une chute” - Reuters

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La Palma del Festival di Cannes è donna, e francese, quest’anno. Secondo la giuria presieduta dal regista svedese Robert Ostlund, il miglio film di questa 23esima edizione appena conclusa è Anatomy of a Fall di Justin Triet, classe 1978, che intorno all’attrice Sandra Hüller costruisce un originale dramma psicologico e giudiziario. Sandra, Samuel e il loro figlio di 11 anni Daniel, vivono da lungo tempo in un isolato luogo di campagna. Un giorno Samuel viene ritrovano cadavere ai piedi della loro casa e comincia così un’inchiesta per stabilire le cause di quella morte sospetta. Si è suicidato? E’ stato ucciso? La prima sospettata è naturalmente Sandra e un anno più tardi comincia il processo alla donna. Ma l’anatomia di quella strana caduta diventa l’occasione per una dissezione della coppia.

Emozionatissima, la regista ha chiamato sul palco tutto il cast e ha detto: «Dal momento che mi avete dato la parola, non mi limiterò a esprimere solo la mia gioia. Sa settimane vanno in scena contestazioni epocali e unanimi contro la riforma delle pensioni, soffocate con la violenza. Il sistema neo liberista sta mercificando la cultura francese, uccidendo il cinema. Dedico questo premio alle giovani registe perché quando ho iniziato io l’ambiente era molto, molto ostile».

The Zone of Interest di Jonathan Glazer, anche questo interpretato da Sandra Hüller, conquista il prestigio Gran Premio della Giuria con la storia agghiacciante di Rudolf Höss e famiglia che vivono la loro quieta vita borghese in una bella casa fuori città, tra molte soddisfazioni e pochi problemi quotidiani: lui va al lavoro, lei si prende cura del giardino e dei figli che giocano. Ma un dettaglio ci rivela che solo un muro separa la gioiosa tenuta con il campo di concentramento di Auschwitz, di cui Rudolf è il direttore. A partire da un romanzo di Martin Amis, il regista inglese ricostruisce una situazione surreale e riflette sulla banalità del male e sulla distanza tra percezione soggettiva e realtà oggettiva.

Miglior attore è lo straordinario Koji Yakusho, protagonista assoluto e sorprendente di Perfect Days di Wim Wender, il secondo attore asiatico a vincere consecutivamente a Cannes. Wenders piange commosso, la sala esplode per l’entusiasmo, non ci sono dubbi che il verdetto abbia raccolto un consenso unanime. Attrice, un po’ a sorpresa, è la turca Merve Dizdar per il film About Dry Grasses diretto da Nuri Bilge Ceylan, uno dei miglior film della selezione. «Interpreto un personaggio che ha dovuto affrontare molte difficoltà, ma conosco cosa voglia dire essere donna dalle mie parti. Dedico quindi il premio a tutte le donne impegnate a superare molti ostacoli per sopravvivere».

La migliore regia è al non entusiasmante a Tran Anh Hung per La passion de Dodin Bouffant, storia di una coppia di chef che vive, cucina e ama nella Francia dell’Ottocento.

Il premio della giuria è per Le foglie morte del finlandese Aki Kaurismaki, un altro film particolarmente amato della selezione, ma il regista non si è presentato sul palco a ritirarlo ha inviato al suo posto i due simpatici attori. «Sono onorato di aver partecipato al festival, grazie e twist and shout!» Il film, una tragicommedia romantica e dolcissima ispirata alla celebre canzone composta da Joseph Kosma su versi di Jacques Prévert, è «una storia sulla ricerca dell'amore, della solidarietà, della speranza e del rispetto per gli altri, per la natura e tutto ciò che è vivo o morto». I protagonisti sono infatti due persone sole che si incontrano per caso una notte a Helsinki e ognuna cerca di trovare nell’altra il proprio primo, ultimo e unico amore.

La migliore sceneggiatura è quella di Monster, scritto e diretto dal giapponese Hirokatzu Koreeda, che difficilmente lascia un festival internazionale senza un premio. Koreeda guarda a uno dei capolavori di Akira Kurosawa, Rashomon, per moltiplicare i punti di vista e raccontare il complesso mondo dell’infanzia, dove i bambini sono costretti a salvarsi da soli, il difficile rapporto tra genitori (spesso inadeguati al compito) e figli (abbandonati, traditi, inascoltati), le dolorose fratture delle relazioni umane e famigliari.

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