lunedì 27 maggio 2024
L'anniversario tondo del teleconduttore nel racconto di Ludovico Peregrini, autore e giudice per 40 anni delle sue trasmissioni nazionalpopolari
Mike Bongiorno

Mike Bongiorno - archivio

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Nella Fenomenologia di Mike Bongiorno, Umberto Eco con la sua cruenta deminutio non ha tenuto conto di una nobile presenza intellettualmente importante, che per quarant’anni ha affiancato il teleconduttore, nato il 26 maggio di 100 anni fa. Solo questo signore, oltre alla moglie Daniela Zuccoli, sposata nel 1972, ha resistito così a lungo al fianco di Mike Bongiorno (1924-2009), e questo è il Signor No. Al secolo, Ludovico Peregrini, comasco di nascita, 81 anni e non sentirli, di cui quaranta trascorsi con il Mike nazionale, con il quale ha firmato le trasmissioni cult della Rai che vanno da Rischiatutto al Festival di Sanremo del ’97 e poi tutta l’era Mediaset, fino alle ultime apparizioni del pioniere della televisione nazionalpopolare. Ingresso in Rai di Peregrini da laureando in Lettere, alla Cattolica di Milano, ma nello studio di Settevoci con il teleantagonista del Mike, Pippo Baudo. «La stampa dell’epoca inventava queste sfide alla Bartali-Coppi della tv con qualche finto dissapore tra Pippo e Mike, ma loro due, così come gli altri conduttori, Corrado, Enzo Tortora, erano amici, si stimavano professionalmente e credo anche umanamente. Mike poi non l’ho mai sentito parlare male di nessun collega, e sono state tante le nostre chiacchierate, fuori e dentro gli studi televisivi».

Debutto con Mike nel ’70, a Rischiatutto: le sue prime impressioni del re del telequiz?

«Una notevole soggezione verso l’autorità che rappresentava. Il suo carisma incuteva massimo rispetto e totale dedizione nel lavoro. Il mio poi era un lavoro oscuro, ma molto importante e tenuto in grande considerazione da Mike che mi aveva assegnato la doppia funzione: autore del programma e giudice di gara».

Doppia, all’inizio, era anche l’influenza di Paolo Limiti.

«Due galli nello stesso pollaio, due personalità fortissime che inevitabilmente finirono per litigare. Così Paolo andò per la sua strada che non era quella del telequiz ma del racconto e dello storico dello spettacolo e del costume. Alla fine, è stato un bene per entrambi».

Due fenomeni, ma Mike per Eco era la “fenomenologia” dell’idolo che incarnava l’uomo medio, se non mediocre. Una bocciatura eccessiva, non crede?

«Eco parlava secondo la sua visione da intellettuale. Mike incarnava la prima televisione italiana, che anche grazie al quiz aveva avuto il merito di dare unità culturale e informativa al Paese. I grandi campioni che passavano dalla nostra trasmissione rispondendo a domande sulle loro materie citavano autori e letture fino ad allora sconosciute alla massa. E quelle informazioni, all’indomani facevano la gioia dei librai. Allora i libri si vendevano in centinaia di migliaia di copie, se non milioni».

Anche gli ascolti allora, prima della comparsa dello schiavizzante Auditel, erano stellari.

«C’erano anche solo due canali Rai e basta, ma comunque sì, inchiodavamo l’Italia davanti alla tv con una media di 25 milioni di telespettatori. Un fenomeno unico di coesione sociale. La finale di Rischiatutto, credo del 1972 o ’73, fece registrare il record assoluto: la videro 27 milioni di italiani. Cifre spaventose, eguagliate soltanto dalla finale dei Mondiali di calcio in Germania del ’74. Per comprendere la portata del successo a cui eravamo arrivati, il quotidiano milanese della sera,La Notte”, ogni settimana dedicava un’intera pagina all’ultima puntata del giovedì, riportando le nostre domande e le relative risposte dei concorrenti».

Tante trasmissioni cult e dopo quello di Mike, quello del Signor No era il volto più noto per gli italiani.

«Sì, la gente mi fermava incuriosita chiedendomi l’autografo e facendomi mille domande. Volevano conoscere il “cattivo” del telequiz, perché quello era il ruolo imposto da una drammaturgia tutta nostra che comprendeva anche quei siparietti polemici con Mike, tipo le discussioni accese per le risposte contestate ai concorrenti».

Ma da casa a volte l’ira funesta di Mike sembrava reale. Del resto, dicono che un suo difetto fosse il carattere fumantino.

«Non è vero. Il maggior difetto di Mike erano i ritardi cronici, che poi recuperava ampiamente con un’attività frenetica, scrupolosa, al limite della pignoleria. Era un perfezionista e pretendeva lo stesso dai suoi collaboratori, altrimenti sì, si arrabbiava. Non sopportava il politicamente scorretto, tipo quella volta che a La ruota della fortuna si infuriò con Antonella Elia che si era messa a criticare le donne che portavano la pelliccia... -sorride -. Ma Mike come faceva a non arrabbiarsi?. Lo sponsor della trasmissione era Annabella di Pavia. Però dopo anche le peggiori litigate non serbava mai rancore. Il suo miglior pregio era l’autenticità. Come lo vedevi in video quando si accendeva la luce rossa, così Mike era nella vita e nelle relazioni di tutti i giorni. Un uomo curioso che sapeva cogliere l’ironia. A cena quando accendeva il suo sigaro e si rilassava, allora diventava anche molto divertente».

Il suo vecchio pubblico si è divertito molto con Mike. I giovani invece hanno fatto diventare virale la puntata di Telemike della telerissa con Vittorio Sgarbi…

«Due carimastici a confronto, anche in quel caso era normale che finisse con le scintille. Quello scontro comunque alzò il picco degli ascolti della trasmissione e la telerissa avvenne in uno spazio di approfondimento culturale. Per la prima volta in un telequiz si parlava d’arte. Mike per necessità non aveva fatto studi regolari e soffriva molto le critiche di chi gli imputava di sbagliare i congiuntivi o di non essere un intellettuale. Per questo nutriva profonda ammirazione per le persone colte e intelligenti come Sgarbi, con il quale comunque poi fece pace».

Quei vuoti culturali li riempiva con slogan rimasti epici: «Fiato alle trombe Turchetti», «Allegria», «Sempre più in alto»… Ma erano pensate quelle frasi che poi sono diventate frasi di dominio pubblico?

«Mike inventava al momento e in questo era sicuramente un creativo. Non a caso era la gioia dei pubblicitari e la pubblicità è stato il suo pallino fisso, oltre che il pane quotidiano delle nostre trasmissioni. Quelle frasi erano spontanee, come del resto le sue mitiche gaffe».

Gaffe tramandate ai posteri come «Ahi, ahi, signora Longari, mi è caduta sull’uccello...».

«Quella frase i giovani d’oggi la chiamerebbero fake, perché in diretta Mike non l’ha mai pronunciata. Allora le trasmissioni erano registrate e al 99% quella battuta o è stata tagliata o non l’ha mai detta. Di sicuro è frutto di una barzelletta, una piccola leggenda metropolitana che circola ancora. Preferisco la gaffe reale della concorrente che indossava un vestito a fiori e Mike disse: “Bello, pensi che a casa ho un divano uguale”. O l’altra: “Lei è un sub umano”, con il concorrente esperto di pesca subacquea».

Sono leggende anche i “superpoteri” del campione Massimo Inardi e le superstizioni di Mike sulle domande inerenti all’antico Egitto?

«Inardi era un medico di Bologna esperto di paranormale, argomento molto in voga in quel periodo, così scherzando a tavola Mike disse: “Ho paura che ci legge nel pensiero e vede le nostre cartelle dei quiz”. Così per ragioni puramente spettacolari diede le risposte alla valletta Sabina Ciuffini e a ogni domanda a Inardi chiedeva a Sabina: “Risposta esatta?”. Quanto all’antico Egitto qualche perplessità ce l’avevo pure io... Quando prendemmo il concorrente esperto dei misteri egizi, sarà stata una coincidenza ma durante la registrazione vedemmo una donna in platea crollare a terra e trasportata all’ospedale la poveretta poi morì. Da quel momento l’antico Egitto per me e Mike divenne un tabù».

Superstiziosi, eppure lei ha detto: «Vorrei tornare al giorno della Resurrezione di Gesù per capire cosa sia successo veramente». Quindi il Signor No è sulla via di Damasco, mentre Mike dove era arrivato?

«Con Mike parlavamo di Gesù e ascoltavamo entrambi con il massimo rispetto tutte le testimonianze di fede, nutrendo però le stesse perplessità e incertezze umane. Io a un certo punto della mia vita ho fatto una ricerca spirituale approfondita, che ancora prosegue e non so ancora dove mi porterà».

In attesa di trovare le fede cristiana, nutre ancora la stessa fede laica per il telequiz?

«No, quella l’ho persa. Il quiz, come del resto il mondo, è cambiato tanto. Sono cambiate le persone e internet ha cancellato la “cultura generale”. I nuovi telequiz si basano su associazioni di parole, su “reazioni a catena” un po’ banali e intuizioni che nulla hanno a che vedere con la preparazione culturale richiesta dai programmi che facevamo con Mike. Quattro anni fa con Fabio Fazio facendo i casting per Rischiatutto, mi sono reso conto di una realtà allarmante: i giovani non conoscono la storia, non sono interessati al passato e vivono tutto proiettati nel presente. Ci sono delle lacune stupefacenti sulle informazioni. E’ come se dal cervello umano sia stata abolita la geografia, la mitologia, la religione... Su questi argomenti non sono più neppure contemplate le domande e non solo nei telequiz».

Ha citato Fazio, è lui l’erede di Mike?

«C’hanno provato a sovrapporre Fazio con Mike, ma credo siano mondi diversi. Mike alla fine riteneva che il più affine a lui fosse Gerry Scotti e forse per aver lavorato anche con Gerry in parte è vero. Ma a me piace pensare che Mike Bongiorno resti unico e inimitabile e, senza peccare di umiltà, penso lo stesso anche del Signor No».

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