giovedì 28 aprile 2011
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La vita appartata e la grande discrezione di Teodorico Moretti-Costanzi (1912-1995), docente di filosofia teoretica nell’università di Bologna (1952-1983) sono forse una delle cause della scarsa conoscenza del suo pensiero, non elitario e per certi aspetti profetico, ma espresso in stile arduo. Molto prima che la tematica del rapporto ragione-fede fosse di comune dominio, e fosse  rivolto a tutti l’invito a «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa» (Ratzinger), Moretti-Costanzi ne fece un luogo importante della sua riflessione, dove il rapporto tra filosofia e fede è dominante. Nato a Tuoro sul Trasimeno da insigne e agiata famiglia, dopo gli inizi della carriera universitaria a Roma e una vita libera e dissipata, conseguente anche al dolore per la morte prematura dell’amatissima madre, Moretti-Costanzi trova nell’università di Bologna un clima più adatto, nel distacco da distrazioni mondane, a un serio impegno di studio e alla costituzione di una scuola di giovani affascinati da un pensiero diverso da quello dominante. A loro si dedica con altruismo e passione. Gli anni bolognesi sono tra i più fecondi della sua vita di maestro, anche se le sue origini umbre, radicate nella spiritualità dei santi francescani, sono la vera matrice di una riflessione che nasce tutta dal «Palazzo» antico dove Moretti-Costanzi abita e che apre con accoglienza ospitale ai suoi discepoli. L’opera omnia che Bompiani ha di recente pubblicato ha visto congiunta la laboriosa e ammirevole cura di Edoardo Mirri, primo discepolo di Moretti-Costanzi, poi ordinario di filosofia teoretica a Perugia, e di Marco Moschini, un discepolo di Mirri che – conterraneo del filosofo umbro – ne ha attinto il pensiero dalla frequentazione assidua, durata fino alla morte di Moretti-Costanzi. Moschini, ora associato di filosofia teoretica sempre a Perugia, definisce il pensiero di lui «un filosofare francescano declinato nel nostro tempo», anche se tiene presente tutta la tradizione moderna, da Schopenhauer a Cullmann, da Hegel a Nietzsche, da Jaspers a Bultmann, da Rosmini ad Heidegger...Un pensiero che ha al centro la fede, come coinvolgimento della persona nel complesso delle sue potenzialità. Cristo-verità è anche via e vita. Il cristianesimo è fede sapiente, come la chiama Bonaventura, quella che Moretti-Costanzi coglie dall’ambiente dei santi umbri sui quali ha irradiato la bellezza di paesaggi che inducono a percepire come «l’ambientalità della santità costituisce un tutt’uno con la sapienza». Alla domanda perenne di significato Moretti-Costanzi risponde: la fede, per la sua persuasività segreta e immensa, può dire tutto. La fede non è problema, rischio, ipotesi, atteggiamenti lontani dalla sapienza teologale dei Padri e dottori della Chiesa più richiamati da Moretti-Costanzi – Giustino, Ireneo, i Cappadoci, Anselmo, Agostino...– e dai dottori francescani, che hanno visto fede e filosofia intimamente congiunte. La fede è rivelazione, dona la notizia, ne dà l’annuncio. La filosofia è platonicamente una fiamma che accende intelligenza, sentimento, percezione della bellezza, nel superamento della distinzione ragione-fede, filosofia-scienza. La filosofia non può essere detta cristiana nel senso che presupponga un pensiero previo poi qualificabile come cristiano, ma è cristiana in quanto il filosofo si rende consapevole di essere assunto nella Verità. I veri sapienti sono i santi. Moretti-Costanzi richiama l’espressione di Bonaventura: Sine sanctitate non est homo sapiens. Lontano da una teologia che riduca Dio a oggetto di analisi, Moretti-Costanzi recupera la consapevolezza agostiniana della filosofia in quanto sapere di Dio come verità, bontà, bellezza e capacità di adorarlo. Dove l’adorazione è biblicamente ascolto: «Parlare di Dio – commenta Moschini – vuol dire lasciar parlare Dio. Mettersi in dimensione uditiva e di apertura dello stesso principio critico che ci rende acustici e parlanti». Parlare di Dio è parlare in Dio «nel senso che Dio è la vera condizione della nostra sapidità di parola». Pensare è accorgersi che l’apice del pensiero è Dio. Così «ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo, se superiamo la limitazione autodecretata dalla ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza» (Ratzinger). Un’ampiezza che porta a vedere le cose nella loro realtà autentica, in una visione unitaria che Bonaventura chiama contuitus, atto dell’intelligenza come adesione al fondamento che rivela il mondo e chi lo guarda, partecipe di esso. È la conoscenza sperimentale di Dio propria dei mistici, ma offerta a tutti come possibilità alta della coscienza, quella notitia Dei che consente la vera lettura di tutte le cose, possibile solo attraverso Dio.Significativamente un’opera di Bonaventura si intitola Reductio artium ad theologiam: la riconduzione di tutte le conoscenze alla teologia non è opera dell’uomo, ma scoperta che tutto è finalizzato al Principio da cui ha origine. Se fosse possibile additare una sintesi del pensiero morettiano espressa dall’«opera omnia» di Teodorico Moretti-Costanzi, occorrerebbe citare La filosofia pura, dove è evidenziata la capacità teologica della filosofia. Mentre la filosofia indaga sulla realtà, la filosofia pura la testimonia. La prima si occupa di problemi, la filosofia pura li risolve. La filosofia pura ha capacità teologica. Teologia e filosofia sono solo apparentemente diverse; esprimono la modalità del pensare autentico, che ha come criterio il Principio di ogni realtà. Questa è per Moretti-Costanzi la rivelazione di Cristo redentore. Essa implica una elevazione dell’intelligenza, puro dono, che costituisce l’accesso alla risurrezione. Per giungervi, occorre essere tali da accoglierne il dono.
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