martedì 27 febbraio 2024
Fontana (Inaf): «Il nuovo modo di osservare il cielo, grazie anche a telescopi come il Webb, può aprire a spiegazioni dell’universo più innovative»
Una raffigurazione del telescopio spaziale Webb

Una raffigurazione del telescopio spaziale Webb - Inaf

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Per Aristotele il sapere nasce dalla meraviglia, senza della quale non c’è ricerca. Questo principio, che abbiamo imparato sui banchi di scuola, appare oggi più vero grazie alle stupende immagini di galassie lontane miliardi di anni luce, inviate dal telescopio spaziale James Webb, che suscitano la meraviglia dell’uomo comune così come quella dello scienziato. Ma a stupire gli astrofisici è soprattutto uno scenario inimmaginabile fino ad un anno e mezzo fa. Una esplorazione che, in futuro, potrebbe portare ad un ripensamento del modello di comprensione dell’universo. Proprio per discutere delle prime entusiasmanti scoperte del telescopio spaziale James Webb, da oggi a giovedì, una sessantina di ricercatori provenienti da tutto mondo, sono riuniti presso la Casina Pio IV, per un workshop organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Tra loro c’è il professor Adriano Fontana, dirigente di Ricerca dell’Istituto nazionale di Astrofisica, il principale ente di ricerca pubblico italiano per l’astronomia. L’Inaf è tra i maggiori utilizzatori del James Webb, anche se la comunità scientifica italiana non è tra le più numerose al mondo, un fatto che conferma l’alto livello della nostra ricerca.

Professor Fontana, qual è il clima che si vive nella comunità scientifica per i dati e le immagini che arrivano dal telescopio spaziale?

C’è grande effervescenza, ci sono molte idee che andranno verificate e anche per questo il congresso organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze è un’occasione di confronto molto importante. Il Vaticano ha una lunga storia di supporto all’astronomia, anche grazie alla Specola Vaticana, con i suoi osservatori di Castel Gandolfo e di monte Graham in Arizona. La Specola ha avuto e ha scienziati importanti e colleghi stimati a livello internazionale. Gli incontri sono sempre di livello alto e ci sono interventi su tante dimensioni della vita umana che sono toccate da una scoperta scientifica. Nel workshop di quest’anno, ad esempio, si parla anche di divulgazione delle scoperte, di informazione, di aspetti filosofici, del posto dell’uomo nell’universo. È un approccio molto opportuno, perché per tutta la comunità scientifica questo è un momento storico di grande vivacità culturale.

L’effetto emotivo per la spettacolarità delle immagini del James Webb è evidente, ma quale è stata la sorpresa maggiore per gli astrofisici?

Il fascino dell’astronomia è nella possibilità di osservare la bellezza della natura e il James Webb è uno strumento che ha delle prestazioni tra le 100 e le 1000 volte migliori dei telescopi precedenti. Ma per noi ricercatori, che abbiamo un occhio allenato, la vera sorpresa è stata trovare l’inaspettato. Mi spiego: osservare galassie così lontane dalla terra vuol dire vederle come erano miliardi di anni fa e in questo viaggio indietro nel tempo, grazie ai precedenti telescopi, c’eravamo fermati a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. Le osservazioni ci avevano mostrato, come era normale aspettarsi, che avvicinandosi al Big Bang le galassie diventavano sempre più piccole e rare. Noi pensavamo che Webb, portandoci molto più vicino all’alba dell’universo, ne trovasse davvero poche e, invece, ha già fotografato galassie grandi ed evolute, oltre ogni previsione teorica. Quindi la formazione delle galassie è avvenuta in una maniera più accelerata e prossima al Big Bang di quello che pensavamo, ma questo è tutto da studiare e spiegare.

Adriano Fontana, dirigente di Ricerca dell’Istituto nazionale di Astrofisica

Adriano Fontana, dirigente di Ricerca dell’Istituto nazionale di Astrofisica - Inaf

Dove potrebbe portare?

Gli scienziati sono sempre prudenti e un’ipotesi ci mette del tempo prima di essere analizzata e diventare una teoria condivisa. In questo momento c’è un grande sforzo per raccogliere nuovi dati e mettere le ipotesi sul tavolo. Ci sono ipotesi che invocano meccanismi che possiamo definire tradizionali, ma anche spiegazioni più innovative. Per esempio quelle che ipotizzano l’esistenza nell’Universo primordiale di forze che ora non ci sono più, ma che hanno aiutato a costruire le prime galassie, o meccanismi che non conosciamo che hanno formato dei buchi neri all’inizio del tempo, intorno ai quali la materia si è condensata e le prime stelle sono nate. Noi sappiamo che l’universo ha una storia, che è nato da una fase estremamente densa che chiamiamo Big Bang, durante la quale si è andato espandendo e durante l’espansione si sono formate le stelle e le galassie. Il problema è quali sono le leggi fondamentali della fisica che spiegano quello che vediamo grazie a Webb. Bastano le quattro forze fondamentali, più la materia oscura e l’energia oscura, che abbiamo considerato finora? O ci sono altre forze fondamentali della natura che possano aver contribuito alla storia dell’universo?

L’Italia come sta partecipando alla ricerca?

L’Italia ha avuto parte alla realizzazione del telescopio attraverso l’Esa, che lo ha finanziato insieme alla Nasa e all’Agenzia spaziale canadese. Già il fatto di utilizzarlo vuol dire far parte dei migliori gruppi di ricerca al mondo. C’è una selezione altissima, ma ad ogni bando vincono almeno una decina di progetti a guida italiana. La ricerca in astrofisica è una delle eccellenze del nostro Paese e avere un istituto nazionale di ricerca aiuta. È un fatto abbastanza raro all’interno dell’organizzazione scientifica mondiale, ma è un punto di forza dell’Italia, perché permette di mettere a sistema tante competenze e collaborazioni. L’Inaf, infatti, lavora con tanti istituti di ricerca, con l’Agenzia Spaziale Italiana, con quella europea, con le università. Tutti gli indicatori che quantificano l’impatto scientifico dimostrano che l’Inaf è ai vertici mondiali e non va dimenticato che l’Italia, per ciò che concerne lo spazio, ha anche una grande tradizione industriale, che ci permette di sviluppare i nostri strumenti ed essere competitivi. Siamo stati tra le prime nazioni a mettere in orbita un satellite.

Dietro allo sviluppo di Webb c’è un enorme sviluppo tecnologico. Come è accaduto molte volte in passato avrà una ricaduta anche nella nostra quotidianità?

Oggi non riesco ad immaginarla, ma sono convinto che osservare galassie a miliardi di anni luce da noi risponda ad uno dei bisogni più nobili dell’uomo, quello di capire dove siamo e cosa ci circonda. Il fatto stesso che miliardi di persone siano rimaste affascinate dalle immagini di Webb ne dimostra l’importanza, avvicina i giovani alla scienza e fa parte di tutto quello che rende il nostro mondo un posto migliore.

I dati del telescopio Webb protagonisti in Vaticano

Dal 27 al 29 marzo, ricercatrici e ricercatori da tutto il mondo si riuniranno presso la Casina Pio IV per un workshop organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, dedicato alle prime, entusiasmanti scoperte del telescopio spaziale James Webb. «A due anni dal lancio, i dati di Jwst stanno già rivoluzionando la nostra visione dell’Universo. Rifletteremo anche sull’impatto di questa nuova conoscenza sulla società e sulle opportunità di coinvolgimento del pubblico grazie alle affascinanti immagini di questo potente osservatorio» commenta Ewine van Dishoeck, professoressa di astrofisica all’Università di Leiden e accademica della Pas organizzatrice dell’evento. È prevista anche una conferenza per il pubblico sul tema “L’Universo invisibile svelato dal Telescopio Spaziale James Webb” giovedì 29 febbraio alle 18 presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma La Sapienza.

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