venerdì 24 gennaio 2020
In lager ogni barriera di pudore è stata devastata e denudata. Rimane una sola vera forza: quella di uno scandalo che sublima il suo prezzo di sangue, trasfigurandolo in patrimonio dell’umanità
Il Memoriale della Shoah di Parigi

Il Memoriale della Shoah di Parigi - Raul Gabriel

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Memoria. Celebrazione che nel pensiero comune è un tributo alla convinzione secondo cui conoscere e ricordare siano gli elementi essenziali per non ripetere gli errori e le tragedie della storia. Convinzione semplificativa e dispensatrice di facili autoassoluzioni. Lo dimostra tutta la storia dell’uomo, con i suoi cicli continui di devastazioni e dolore. Raccogliere informazioni, memorizzarle, ripeterle, non è garanzia di etica. Conoscere non incide necessariamente sugli aspetti più profondi della coscienza, che sono un “guazzabuglio” di sentimento, empatia fisica e spirituale, equilibri ormonali, convinzioni etiche innate e acquisite, storia individuale. Quando si parla di Memoria si compiono a mio parere degli errori di fondo. Il primo è credere che le esperienze individuali si convertano automaticamente in comportamenti di gruppo. Le logiche del gruppo non sfuggono facilmente alla tentazione ideologica che semplifica, crea gerarchie, parole d’ordine e che, in definitiva, ha come obiettivo di rendere ogni gruppo controllabile. Il controllo, quel tipo di controllo, non ha nulla a che fare con la coscienza. Anzi, tende a rifuggirla come la lebbra. Altro errore frequente è la tendenza ad attribuire a documentari con le immagini più crude, alle storie più orribili o strazianti, la facoltà di colpire le coscienze. C’è il forte rischio di non avere un risultato superiore a quello degli effetti speciali in una casa degli orrori, dove si va per provare sensazioni tanto forti quanto fugaci. Non serve alzare lo stimolo per incidere sulla coscienza. La capacità degli esseri umani di abituarsi a tutto, fosse anche l’orrore profondo, purché altrui, è dolorosamente nota ed è stata anche strumento dell’olocausto. Non va fatta confusione. I documenti, le immagini, le testimonianze, le reliquie devono essere approfonditi, conosciuti e mostrati perché hanno la potenza della verità. La forza delle prove era la nemesi più temuta dai nazisti che hanno tentato di tutto per cancellarle. Le prove però servono nei processi. Contribuiscono assai meno all’acquisizione di una consapevolezza che modifichi la vita delle persone. Il punto critico forse è questo.

La mia esperienza da visitatore di Oswiecim e di Auschwitz mi ha legato a quei luoghi in una maniera che non avrei potuto immaginare. Intorno ad Auschwitz dovrebbe esserci un deserto e invece appena fuori dal filo spinato ci sono i bellissimi parchi del Sola, la vita serena del villaggio, gli alberi dei campi. Da lì è cominciato un per- corso di riflessione, idee, opere. Da quella realtà bifronte inconciliabile e al tempo stesso tremendamente osmotica sono nati un affetto e un dolore permanenti che sono diventati progetto. Prima di questa esperienza avevo visto immagini, documentari, studiato la storia. Eppure solo la relazione diretta ha determinato il mio profondo coinvolgimento personale, interiore e culturale. La Memoria ha senso se diventa antidoto. E diventa antidoto solo se tocca la carne della esistenza di ognuno. Come, non è possibile prevederlo. Probabilmente esiste un modo per ciascuno. Io posso testimoniare come è stato per me. La Memoria, per toccarti, non deve essere avvertita come cosa di altri ma come cosa propria, come cosa di tutti. Spesso questo non succede per l’impermeabilità di chi visita i luoghi, fisici o documentali. Altre volte è necessario riflettere se non sia la conseguenza di una inconsapevole forma di gelosia da parte di chi, con una parte di ragione, si sente depositario del diritto di prelazione sulla Memoria. Non voglio essere frainteso. È evidente che coloro che sono stati toccati dalla Shoah (come tutte le vittime delle violenze e dei genocidi sparsi per il mondo e la storia) hanno il diritto di sentire il fatto come proprio. Eppure questo comprensibile senso di proprietà può remare inaspettatamente contro la formazione di un antidoto individuale e comune verso la ripetizione dell’orrore.

È naturale che ogni tragedia venga sentita da chi l’ha patita come materia propria, perché pagata a prezzo di sangue. Ma perché venga avvicinata dagli altri, con la possibilità di essere sinceramente partecipata, credo serva uno sforzo di rinuncia alla intimità del dolore – che sia di comunità, di gruppo, di famiglia. La mia sensazione è che Auschwitz, nel gorgo di annientamento dell’uomo, abbia distrutto definitivamente tutte le soglie dell’intimità. Ogni singola barriera di pudore è stata devastata e denudata. Rimane una sola vera forza: la potenza di quella nudità e la sua condivisione. La forza di uno scandalo che ha sublimato il suo prezzo di sangue, trasfigurandolo in patrimonio dell’umanità. Credo si debba aver la forza di respingere la tentazione di farsi Cesari del disastro lungo un sentiero simile a quello del decano del ghetto di Lodz, Chaim Rumkowski, che Primo Levi stigmatizza con chirurgica lucidità in I sommersi e i salvati, intuendo che riguarda molto da vicino le vite e le scelte di tutti noi. Boris Pahor in Necropoli, sua personale esperienza di sopravvissuto di Natzweiler-Struthof, nei Vosgi, uno dei tanti lager satellite dimenticati ma non meno mostruosi, descrive perfettamente quanto si possa essere estranei alla visita di un campo di concentramento, che dovrebbe essere un atto di Memoria fondamentale. Forse Memoria è un termine insufficiente per dire ciò che vuole trasmettere, perché inevitabilmente percepito come riferimento al passato. Quello che mi ha dato e continua a darmi Oswiecim è la coscienza, nella mia minuscola esperienza, che ogni singolo strumento della Shoah si è impregnato di una permanenza ostinata dell’umanità che lì doveva essere annientata e che invece è presente, proprio lì, per sempre. Ti parla con forza e severità, con tenerezza e decisione, per accoglierti in una famiglia che non appartiene al passato, ma al tuo presente e futuro. È parte della tua strada di compimento umano, profezia di una speranza di solidarietà, familiarità, affetto che sembrano così fragili e invece hanno collocato i carnefici e gli infami nella loro cornice di morte in cui sono stati relegati e cancellati per sempre.

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