domenica 19 gennaio 2020
Al frate cappuccino papa Francesco ha chiesto di fondare in Abruzzo un santuario dedicato alla Madonna del Silenzio. «Il silenzio ti fa sentire la pienezza di Dio nel cuore»
Padre Emiliano Antenucci con il Papa e l’icona con la Vergine del Silenzio, ispirata a un originale copto dell'VIII secolo e scritta nel monastero di San Giulio d’Orta

Padre Emiliano Antenucci con il Papa e l’icona con la Vergine del Silenzio, ispirata a un originale copto dell'VIII secolo e scritta nel monastero di San Giulio d’Orta

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«Sono stato a pregare una giornata intera davanti al Santissimo e ho gridato al Signore: “Che cosa vuoi che io faccia?”. Era la fine dell’estate del 2009. Da cinque mesi vivevo nella tendopoli di Onna con gli sfollati del terremoto del 6 aprile. Qualche giorno dopo mi arriva una lettera di Anna Maria Cànopi, che avevo conosciuto tempo prima. Era datata lo stesso giorno del mio grido di preghiera. Quella lettera, che rispondeva al quesito formulato in un nostro precedente incontro nell’abbazia dell’isola di San Giulio sul lago d’Orta, affermava perentoriamente: "Oggi l’unica risposta di cui il mondo ha bisogno è il silenzio"».

Padre Emiliano Antenucci, frate cappuccino del convento di Guardiagrele in Abruzzo, 40 anni, in convento da quando ne aveva 19 (ed è inoltre uno dei mille missionari della Misericordia ai quali nel 2016 Francesco ha dato la facoltà di rimettere i peccati che solo il Papa può assolvere), racconta così come è nata la sua chiamata alla missione del silenzio.

Lo incontriamo a Tv2000 dove sta registrando una trasmissione su Le parole della spiritualità. Fin da ragazzo voleva fare il missionario in Amazzonia e se non ci fosse stata l’esperienza fra i terremotati a metterlo in crisi forse così sarebbe avvenuto. Invece nel 2010, dopo aver fatto un percorso di approfondimento di quasi un anno in vari monasteri di vita contemplativa, compresa l’intera quaresima nella certosa di Serra San Bruno, dà vita al corso spirituale “Silenzio, parla il Silenzio” che si svolge ogni mese per tre giorni con persone sempre nuove (si può fare una sola volta), a Chieti nel monastero delle Clarisse.

In questi corsi, dal principio, fra Emiliano promuove la devozione per la Vergine del Silenzio sulla base di un’immagine dapprima tratta da un affresco copto dell’VIII secolo, e che poi Antenucci ha fatto rifare in forma di icona chiedendone la scrittura allo stesso monastero benedettino in cui viveva madre Cànopi. Quell’immagine nel 2015 è giunta per altre vie a papa Francesco che ne ha voluto lui stesso promuovere la devozione. Dopo un incontro con Antenucci il 22 marzo scorso, ha inviato una lettera al provinciale dei Cappuccini abruzzesi con questa richiesta: «Sarebbe bello trovare un posto, una chiesa, dove si possa dare culto pubblico alla Madonna del Silenzio». Quindi ha affidato la ricerca del luogo allo stesso padre provinciale, che lo ha individuato in Abruzzo.

Tutto a cominciare da quella preghiera del 2009... Oggi che tipo di persone vengono ai corsi sul silenzio?

«Persone provenienti da varie realtà, anche personaggi noti, artisti, musicisti. Ogni mese sono quindici-venti, dalla sera del venerdì alla sera della domenica. In dieci anni sono passate quasi duemila persone e sono nati gruppi di preghiera. Da qualche tempo lo stesso corso viene predicato anche in Messico».

Qual è la sua proposta?

«Passare da una religiosità fatta di gesti e devozioni esteriori a una fede che viene dal cuore. Il silenzio è il microscopio dell’anima, ti fa vedere cose che prima non vedevi. Per questo le persone hanno paura del silenzio».

Il silenzio spaventa?

«Tanta gente vive nel rumore perché nel silenzio emerge la coscienza, si evidenziano i problemi interiori. Nel silenzio non puoi nasconderti, costringe a pensare a chi sei veramente. E se insisti trovi Dio che è già nel tuo cuore e ti attende. Allora il silenzio, esercitato ogni giorno, diventa una ricarica, ti dona le parole da donare agli altri. Il silenzio cristiano non è mai vuoto, ma è la pienezza della presenza di Dio, è il suo respiro nella nostra anima. In questo senso il silenzio non è tecnica, ma un dono di Dio offerto a tutti. Un dono che libera e guarisce».

Il silenzio guarisce?

«Il mio percorso è costruito su tre parole: silenzio, Parola, Eucaristia. Nel silenzio senti Dio che ti parla e la sua Parola acquista significato per la tua vita. L’Eucaristia diventa il compimento di questo incontro. Io la chiamo “Cristoterapia”. E ci sono anche tre parole da riscoprire su Maria: rallegrati, magnificat, amen».

Le persone che vengono ai suoi corsi da cosa sono attratte?

«Credo che la gente cerchi testimonianza. Non vogliono cristiani da salotto, ma cristiani che si scomodano: mani giunte nella preghiera e mani sporche nella carità. Il volontariato senza la preghiera perde il senso del sacro, del mistero e la gente ha bisogno di dare risposte a quella richiesta di sacro a quel senso del mistero che sente nel cuore. Le chiese devono poter essere luoghi in cui si fa esperienza del mistero. Adorare è l’atto d’amore più grande e significa chiudere la bocca e gli occhi per aprire il cuore. Dal mettersi in ginocchio davanti a Dio si attinge la forza per far passare la carità attraverso le nostre mani e quindi portare altre persone alla preghiera. È così che la Chiesa diventa feconda e capace di donare luce al mondo».

Qual è la sua esperienza in questo senso?

«Cerco di vivere la contemplazione nel silenzio e la carità concreta collaborando con la “Papa Giovanni” di don Benzi. In questo modo ho scoperto che non sono io ad aiutare le persone, ma sono loro che aiutano me. I poveri insegnano la semplicità, l’essenzialità, la preghiera. Si può imparare tanto da un povero che prega».

Apertura all’incontro, quindi?

«Sì, perché il testimone si individua nella spontaneità e nell’amicizia. La cultura dell’incontro è fondamentale e deve essere coltivata. E poi bisogna saper ascoltare incominciando dallo sguardo. La storia di una persona è nei suoi occhi e le persone sentono il bisogno di essere guardate negli occhi, poi ascoltate e amate per quello che sono. Questa è la misericordia e attraverso la misericordia passa il perdono di Dio, lo Spirito Santo che consola e guarisce».

Quanto bisogno c’è di perdono?

«Tanto. E da confessore posso dire che sono molte le persone che non riescono a sentirsi perdonate perché non si perdonano. Ma Dio non si stanca mai di perdonare. E la Chiesa deve essere la casa della gioia e dell’accoglienza per donare la bellezza dell’essere cristiani così che la gente guardandoci possa dire: ma cosa ha scoperto questa persona di così bello nella vita? Non c’è bisogno di proselitismo, di spirito di crociata. Invece tanti cristiani non sono gioiosi e la tristezza è un segno di ateismo pratico, perché se credi nel Dio cristiano devi sentirti amato, sempre e senza condizioni. Ma preferiamo credere a un dio Befana e Babbo Natale, che ci premia e ci castiga se siamo buoni o cattivi. Questo non è amore. Se ti senti perdonato sei capace di amare e se ami accogli...»

Sono temi sui quali batte molto il Papa.

«La gioia dell’amore aiuta a superare ogni limite, invece mi rendo conto che nella Chiesa tante volte si alzano muri come quello del clericalismo, quello della burocrazia. Ricordo un povero che viveva in stazione e aveva deciso di cambiare vita guardando le persone che aiutavano quelli come lui sfamandoli e curandoli. Così ha chiesto a un parroco di essere battezzato. Il prete gli ha risposto che serviva un percorso di due anni. Lui si è scoraggiato e ha scelto un’altra strada...»

Quali altri limiti si superano con l’amore?

«Tutti. Tempo fa sono stato chiamato dalla direttrice del carcere dove con i detenuti faccio un percorso sul perdono: un boss della mafia, fedelissimo di Provenzano, stava morendo in ospedale. Per due notti prego e trovo l’ispirazione di andare con Padre Pio e prendo un santino e una reliquia. Entro nella stanza e lo trovo arrabbiato e pronto a mandarmi via. Io dico: «Lo sai chi mi manda?». E lui sferzante: “La direttrice del carcere”. Io, mostro il santino: “No, mi manda lui”. A quel punto racconta di averlo conosciuto nel ’50 in carcere quando lo invitò a smettere di fare il delinquente. Lui aveva scelto un’altra strada e Padre Pio adesso era tornato. Lo confesso e il suo volto si illumina. Gli poso la reliquia sul capo e mi dice di sentire il profumo di san Pio “che è fortissimo, più potente di ogni mafia”. Quando esco ricordo una frase di sant’Agostino: “Tra l’ultimo nostro respiro e l’inferno c’è l’oceano della misericordia di Dio”. La Vergine del Silenzio invita a questo: Lei che custodiva tutto nel cuore con una mano ci dice di fermarci nel caos della nostra vita, con l’altra indica il cielo proponendoci il silenzio».





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