mercoledì 28 gennaio 2015
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«Le partite indimenticabili? Quelle da bambino nei prati del mio paese, Fusine in Valromana (frazione di Tarvisio, Udine, 3 chilometri dalla Slovenia e 8 dall’Austria, ndr). Ma dove ho imparato veramente a giocare a calcio è stato sul campo “più pazzo del mondo”: era metà in salita e l’altra metà in discesa. In cima, faceva da porta il cancello del cimitero e quando il pallone finiva dentro, la “punizione” consisteva nel mandare a recuperarlo chi aveva tirato. La migliore scuola possibile: calcio di strada, divertimento garantito e una continua sfida contro la paura di trovare quel pallone tra le tombe, al buio...». Sono i ricordi di un’infanzia felice e tutt’altro che tombale, di quello che sarebbe diventato il futuro bomber di razza, Maurizio Ganz. “El segna sempre lù” dell’Inter e poi il “Risegna sempre lù”, quando diede “scandalo” sotto la Madonnina passando al Milan. «Gli interisti me lo rinfacciano ancora, mi danno del “traditore”. Io rispondo sempre con due cifre: 39 gol segnati nelle 85 presenze in nerazzurro». Biglietto da visita di uno dei migliori cecchini sotto porta dal 1986, quando 17enne Boskov lo fece debuttare in quella Samp che in attacco schierava i gemelli del gol Vialli&Mancini («più Branca e Lorenzo di riserva», puntualizza Ganz), al 2006, «la mia ultima stagione alla Pro Vercelli, in C2». Un ventennio da protagonista in campo, 208 gol realizzati e ora, da nove anni, mister con alle spalle la lezione del «maestro di vita e di tecnica, Mircea Lucescu» (più altri 33 allenatori, svariati ct: Capello, Prandelli, Sacchi. Spalletti, Mancini all’esordio alla Fiorentina e Donadoni per un mese al Lecco») che dopo gli esordi nelle storiche accademie meneghine, Masseroni Marchese e Aldini Bariviera, è passato alle giovanili del Varese. In estate ha sconfinato in Svizzera: allenatore dell’Ascona: «Un bellissimo progetto di collaborazione con la Fiorentina e come a Varese, dove lo scorso anno allenavo la Primavera, qui continuo ad guidare una formazione in cui l’età media è di vent’anni».Ma l’Ascona milita in Seconda Lega Interregionale elvetica, l’equivalente della nostra Serie D. Ma come, i suoi colleghi e coscritti pretendono subito di partire dal calcio di vertice e lei naviga ancora così in “basso”?«Per me Serie A o D non fa nessuna differenza, il calcio è sempre stata una passione e un divertimento, molto prima che diventasse un mestiere. Ed è solo per la passionaccia se a 46 anni faccio ancora Milano-Ascona, tre ore d’auto tra andata e ritorno, cinque giorni alla settimana. Non ho procuratore, e non ne avrò mai. Sono orgoglioso della mia lunga gavetta: oltre che un fatto di umiltà la ritengo una scelta necessaria per non entrare nel folto club degli “improvvisatori”. Ce ne sono già tanti...».Molti suoi ex colleghi di Serie A, vedi Pippo Inzaghi, proprio in virtù dei trascorsi gloriosi hanno subito puntato alla “panchina top”.«Per Pippo, come per Seedorf era difficile dire di “no” all’offerta del Milan. L’esperienza da calciatore serve, ma anche se sei stato un campione non è detto che poi sarai subito un grande allenatore, specie se non hai i giocatori giusti a disposizione... Mancini, Montella e Mihajlovic, partiti subito dalla Serie A, rappresentano delle eccezioni. E allora, secondo me è meglio cominciare dalle squadre dei ragazzi e poi salire di categoria, un passo alla volta, senza fretta».Il primo talento che ha scovato nelle sue formazioni giovanili?«Mio figlio Andrea che allenavo alla Masseroni Marchese. Non so se supererà il “maestro”, ma ho scoperto presto che è “giocatore vero”. Quando stavo all’Atalanta e Andrea aveva 6-7 anni, qualche volta lo portavo agli allenamenti: io crossavo e lui al volo tirava al portiere, Pelizzoli: aveva un calcio che già faceva male... Ora Andrea ha 21 anni e gioca nel Como, in Lega Pro, ma uno con le sue caratteristiche penso che possa esprimersi al meglio nelle categorie superiori».Il Milan ha mandato Ganz jr e tanti altri giovani in prestito, magari potevano essere utili per aprire subito quel “nuovo ciclo” solo sbandierato... «Non parlo da padre, ma da allenatore, ebbene: penso che molti dei giocatori di Inzaghi, per limiti e soprattutto per l’atteggiamento che stanno mostrando, nel mio Milan sarebbero finiti in panchina se non in tribuna». Registra anche lei una carenza di personalità e di fuoriclasse tra i rossoneri?«Un po’ sì, ma sbaglia anche chi pensa che nel calcio si vince solo se hai i “nomi”. Zaccheroni prese un Milan che l’anno prima era fuori dalle Coppe, come adesso, eppure conquistò lo scudetto del ’99 con gli Helveg, i Gigi Sala, i Guly (Guglielminpietro) e un certo Ganz».Anche l’Inter vive la stessa crisi del Milan.«Però l’Inter ha una rosa leggermente migliore dei rossoneri, anche se poi i risultati non arrivavano con Mazzarri e non stanno dando ragione neanche a Mancini. Però, subentrare con una squadra già costruita è sempre difficile. Nonostante tutto, Inter e Milan per il materiale a disposizione non sono inferiori a quelle squadre lì davanti che puntano al terzo posto».Li ha avuti entrambi come presidenti, meglio Berlusconi o Moratti?«Due storie completamente diverse. Massimo Moratti l’ho conosciuto di più, un “padre”, uno che lo vedi che soffre ancora in tribuna quando assiste alla sconfitta dei suoi figliocci dell’Inter. Berlusconi ha fatto del Milan una struttura altrettanto “famigliare”, ma gestita come una Spa, in cui ho avuto la fortuna di lavorare anche dopo che avevo smesso di giocare».Le fortune più grandi avute nella sua lunga carriera?«Aver giocato con il Ronaldo più forte, prima che Cristiano “nascesse”. Il gol dello scudetto con il Milan, quello del 3-2 segnato alla Samp, indimenticabile. E poi il titolo di capocannoniere della Coppa Uefa 1996-’97 (8 reti), anche se poi perdemmo la finale a Milano contro lo Schalke 04. E questo lo considero il mio unico rimpianto»Se potesse tornare in campo domani con chi vorrebbe giocare?«Con Andrea Pirlo, straordinario, con i suoi assist avrei segnato 10 gol in più ogni stagione. Poi, visto che non l’ho avuto, sulla mia panchina mi piacerebbe vedere Trapattoni, un maestro al di là di quello che ha dato al calcio».Tornando alla realtà: chi è l’allenatore e il giocatore che più la sta sorprendendo?«Max Allegri, perché non era facile gestire uno spogliatoio come quello della Juve, specie dopo lo scetticismo con cui era stato accolto in estate. La sua Juve vincerà ancora e grazie a Pogba che mi sta meravigliando. Siamo di fronte a un fenomeno - per noi raro in questo momento -, alla sua età neanche Zidane faceva certi numeri».Finita la gavetta e la parentesi svizzera, dove le piacerebbe allenare?«A Milano... – sorride –. Conte è il miglior ct possibile, però il mio obiettivo è arrivare sulla panchina della Nazionale – altra risata di gusto –. I miei ragazzi dell’Ascona lo sanno: regola numero 1, gli ripeto, siate sempre umilmente ambiziosi».Altri requisiti per diventare un Ganz?«Oltre al talento serve spirito di sacrificio. E a tutti auguro di avere dei genitori come i miei, papà Ettore e mamma Francesca, che a 13 anni mi hanno lasciato andare alla Samp, aiutandomi a credere in quel sogno cominciato al campetto del cimitero del mio paese».
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