venerdì 9 dicembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Lungo la via che dalla pianura Padana porta al mare tra Liguria e Toscana, alla scoperta di una terra segreta, adorna di borghi murati, pievi e castelli, che poggia la testa sull’Appennino e immerge i piedi nel mare di Lerici. Il castello di Fosdinovo è una macchia gialla nella notte. Quando c’è la luna, il gufo vola inquieto dalle torri dell’uno al miraggio dell’altra e i labirinti della fortezza – che ti smarrisce coi suoi saloni, le scale anguste, le porte segrete – sono percorsi dal soffio di mille presenze: statue che si muovono, il fantasma d’una fanciulla murata viva per essersi innamorata d’uno stalliere, i racconti macabri di delitti famigliari e di una marchesa che giustiziava i suoi amanti… Ma forse sono solo le scorribande del vento. Si dice che in queste stanze abbia dormito anche l’Alighieri, che fu a Fosdinovo nel 1306 per la pace fra i Malaspina e il vescovo di Luni. A quel tempo la Lunigiana, terra di aspre contese quant’è aspra la sua geografia, era ben più vasta di quanto non lo sia ai giorni nostri. Oggi la Lunigiana corrisponde al bacino idrografico del Magra, per lo più in terra toscana, e va dal Passo della Cisa a Luni comprendendo i territori liguri di Sarzana e il tratto inferiore della Val di Vara. Il Vara, affluente del Magra tra Vezzano Ligure e Santo Stefano Magra, è stato tra i protagonisti della devastante alluvione che ha recentemente colpito la Liguria orientale. Borghetto di Vara, il paese che ha pagato il più alto tributo in vite umane e distruzione, è situato soltanto una ventina di chilometri a monte della confluenza. La Lunigiana storica, al contrario, abbraccia un territorio ben più vasto, facente capo all’antica diocesi di Luni e comprendente le province della Spezia e di Massa-Carrara, l’alta Garfagnana e parte della Versilia. Il nome le deriva da Luni, o Luna, colonia romana fondata nel 177 a.C. alla foce del Magra e presto divenuta principale porto del mar Ligure. La sua influenza, esercitata fino al X secolo, fu tale da connotare col proprio nome l’intero territorio. La posizione sull’Aurelia, il collegamento con Parma garantito dalla Strada delle Cento Miglia, il commercio via mare del marmo bianco delle Apuane, garantirono a Luni alcuni secoli di splendore, testimoniati dal grande anfiteatro del II secolo, capace di ben 7000 posti. I resti della Luni romana, oggetto di scavi già nel Rinascimento, sono inclusi nel percorso di visita del Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel 1964, che comprende l’area del foro, quella capitolina, la basilica civile, la curia e il Grande Tempio, nonché alcune dimore signorili e i resti dell’anfiteatro, sito al di fuori della cinta muraria. Più tardi la città divenne sede vescovile e fu allora, precisamente sotto i Franchi, che si formò il concetto di Lunigiana Storica, estesa dal parmense al genovesato di Chiavari, con l’alta Garfagnana e parte della Versilia. La scomparsa di Luni, unico centro urbano di un certo rilievo, già prima del Mille, il passaggio ai Malaspina e le successive frammentazioni del casato, coi diversi rami della famiglia in lotta fra di loro, portò alla formazione di numerosi minuscoli possedimenti e vide sorgere un gran numero di castelli, da Fosdinovo a Pontremoli, da Fivizzano a Massa, tutti ben conservati e meritevoli di una visita. Nel frattempo, e siamo tornati al Mille, un’importante figura storica si era affacciata sulle strade della Val di Magra: quella dell’homo viator, o pellegrino, che scendeva dal Nord verso Roma, seguendo le orme di Sigerico di Canterbury, che nel suo viaggio del 990 passò proprio per questo corridoio naturale, citando Pontremoli nel suo diario di viaggio. E così, lungo il corso del Magra, le pievi vennero ad alternarsi ai castelli, come grani splendenti di un rosario che si snodava lungo la Via di Monte Bardone, com’era chiamato allora quel tratto di Francigena, che si affermò come la principale via di comunicazione tra la pianura Padana e la costa tirrenica. Ben trentacinque sono le pievi menzionate dalle bolle pontificie di Eugenio III, Anastasio IV e Innocenzo III (secoli XII-XIII), principalmente poste in punti chiave lungo le vie di comunicazione – la Via Francigena, la Via del Volto Santo e le varianti che scendevano dai passi appenninici – spesso accompagnate da un ospedale per i pellegrini. Non potendo descriverle tutte, ricordiamo tra le più importanti la pieve dei Santi Cornelio e Cipriano, a Codiponte di Casola in Lunigiana, e quella di Santo Stefano di Sorano, a Filattiera, luogo di ritrovamento di un’iscrizione longobarda sulla cristianizzazione della zona (lapide di Leodgar, custodita nella chiesa di San Giorgio, sempre a Filattiera) e di numerose statue stele. Pochi chilometri più a monte, alla confluenza del Verde nel Magra, sorge Pontremoli, che vanta pregevoli dimore sei-settecentesche nell’orginale stile del “barocco pontremolese” e che affida all’orgoglio della fortezza del Piagnaro il compito di spiegare il mistero delle statue stele lunigianesi, retaggio di epoche remote ed espressione di una cultura che fu capace di produrre per millenni simboli unitari e coerenti. Forse è ad essi, agli antenati pre-Liguri ritratti in questi misteriosi megaliti, che si può ricondurre l’identità di questa regione di campanili, di feudi, di staterelli e signorie a lungo in lotta tra di loro. Non è un caso che sempre più frequentemente la curiosa sagoma di queste misteriose entità fa la sua comparsa nella pubblicistica locale, nelle insegne degli esercizi commerciali e nella pubblicità. Certamente tra gli otto comuni lunigianesi della provincia della Spezia e i quattordici della provincia di Massa-Carrara, oltre a quelli prossimi della Val di Vara e del golfo della Spezia, esistono affinità culturali, linguistiche e storiche che consentono a buon diritto di parlare di una realtà unitaria. Ma l’identità ha bisogno di simboli e chissà che non siano proprio le scoperte archeologiche inerenti le statue stele, a fornire ai lunigianesi l’occasione per una conferma della loro matrice comune.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: