giovedì 24 febbraio 2011
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Quella che si sta scatenando nel mondo della lirica rischia di assomigliare sempre di più a una guerra tra poveri. Perché i tagli al Fondo unico per lo spettacolo oltre che mettere a rischio posti di lavoro, stipendi e spettacoli dal vivo, hanno già prodotto l’effetto di mettere una contro l’altra le 14 fondazioni liriche italiane. Il neopresidente dell’Anfols, l’associazione che riunisce le fondazioni liriche, Francesco Girondini, si trincera dietro un «no comment». Preferendo rimandare le riflessioni a quando si conosceranno nel dettaglio i contenuti del Milleproroghe. Sarà forse anche perché, in quanto sovrintendente dell’Arena di Verona, è coinvolto in prima persona nella polemica che ha visto il sindaco di Venezia, il Pd Giorgio Orsoni, attaccare lo stanziamento straordinario di tre milioni di euro varato dal governo per Verona. Il primo cittadino se la prende con il ministro Brunetta e invita Bossi «a non presentarsi più in Laguna a festeggiare la Padania», ma ad andare nella Verona del leghista Flavio Tosi. Girondini, che in qualità di presidente dell’Anfols dovrebbe difendere anche la Fenice dai tagli, il giorno del suo insediamento, aveva parlato di «scenario particolarmente difficile per quel che riguarda le risorse economiche» invitando tutti a «sentirsi impegnati per salvaguardare i livelli occupazionali all’interno di una profonda e coraggiosa riforma del settore».Riforma alla quale il Teatro alla Scala guarda perché vorrebbe ottenere quell’autonomia promessa da tempo dalla politica. Lo stanziamento straordinario del governo (i tre milioni sono arrivati anche a Milano) consentirà al sovrintendente Stéphane Lissner, insieme a un intervento straordinario dei soci di appianare il buco da 5 milioni e 400 mila euro prodotto nel bilancio 2010 dal mancato reintegro del Fus. Condizione, quella del pareggio di bilancio, per ottenere l’autonomia. Che invoca a gran voce il Maggio musicale fiorentino. E che dovrebbe avere pure l’Accademia di Santa Cecilia. Anche se il presidente Bruno Cagli lancia l’allarme: «Se le norme per lo spettacolo del Milleproroghe passeranno così come sono pronto a dare le dimissioni. E mi aspetto che altri colleghi, che magari versano in condizioni peggiori, facciano lo stesso». D’accordo con la protesta Walter Vergnano del Teatro Regio di Torino, il quale aggiunge: «Presentare le dimissioni sarebbe un atto coerente con l’amore che abbiamo verso i nostri teatri».La situazione è grave un po’ ovunque. Al Lirico di Cagliari, dove i lavoratori – come ci viene raccontato qui sotto – non ricevono lo stipendio da due mesi, i vertici si sono già azzerati. A Genova il Teatro Carlo Felice, che è stato sull’orlo del fallimento, prova a ripartire con una stagione fatta di pochi appuntamenti. E fa pensare anche il fatto che nel mese di febbraio solo sette fondazioni su quattordici hanno mresso in scena un’opera. Produttività ridotta al minimo e cartelloni a rischio, come ha detto chiaro il vicepresidente della Scala, che è il teatro che sta meglio, Bruno Ermolli: «Se le riduzioni dei finanziamenti saranno così penalizzanti è chiaro che dovremo rivedere tutto il cartellone» guardando con preoccupazione ai tagli per il 2011 che si attestano su 17 milioni di euro. Più catastrofica la visione del sovrintendente dell’Opera di Roma. Per Catello De Martino «sta per calare definitivamente il sipario sul mondo della lirica italiana». Proprio mentre si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Processo nel quale la musica – si pensi solo al ruolo di Giuseppe Verdi – ebbe una parte fondamentale.
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