La libertà fa male. Meglio che gli uomini ne siano privati?
giovedì 23 agosto 2018

Lo studioso Michael Bess ritiene che il progresso accelerato potrà cambiare l’uomo in profondità e imputa a chi lo nega quella che lui chiama «fallacia dei Jetsons», rifacendosi alla nota serie di cartoni animati («I Pronipoti») in cui si raffigura una società la cui tecnologia evolve rapidamente, mentre l’essere umano rimane più o meno lo stesso nei suoi desideri, credenze, sentimenti e relazioni. In altre parole, sbaglieremmo a immaginare che avremo case, lavori, mezzi di trasporto, farmaci e svaghi fantascientifici, ma resteremo i soliti sapiens curiosi e distratti, litigiosi e solidali, pettegoli e mammoni.

Non condividono questa ipotesi 'trasformativa' molti autori delle distopie novecentesche e più recenti. La loro ipotesi è che i nuovi strumenti saranno sempre al servizio di slanci e pulsioni antichi; quando prevalgono certe ideologie, la potenza dei mezzi a disposizione rende gli incubi proporzionalmente peggiori, in ossequio al principio di Lord Acton per cui «il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in modo assoluto».

Se a imporsi è un’aspirazione messianica male indirizzata, il risultato è la creazione di un nuovo Paradiso che ha però le sembianze dell’Inferno. Il punto di partenza è un’alternativa secca: felicità senza libertà o libertà senza felicità. Chi sceglie la libertà è destinato a rimpiangere le catene per secoli. E così il cantore di questa società può affermare che il nuovo regime è alleato con il Dio dell’antichità nel combattere il diavolo, che ha indotto gli uomini a infrangere il divieto e a gustare una perniciosa libertà. Ma ora al serpente schiacciamo la testa e riotteniamo il vero Paradiso (di obbedienza): siamo di nuovo candidi, innocenti come Adamo ed Eva. Senza più confusione sul concetto di bene e male, tutto diventa molto semplice, infantilmente semplice, buono, magnificente, bellissimo, nobile, elevato, puro...

C’è questa straordinaria intuizione all’origine di un romanzo che a buon diritto si può considerare un capostipite del filone che ha dato vita, tra gli altri, al capolavoro di George Orwell 1984 (e anche a L’uomo è forte di Corrado Alvaro, come ha ricordato recentemente Massimo Onofri su 'Avvenire').

Evgenij Zamjatin (1884-1937), ingegnere navale e scrittore, prima vicino alla Rivoluzione d’Ottobre e poi suo critico fino all’espatrio in Francia, già nei primi anni di Lenin capì la strada totalitaria su cui si sarebbe avviata l’Unione Sovietica. E tra il 1919 e il 1921 scrisse il romanzo Noi, che pubblicò in inglese nel 1924. L’edizione russa vide la luce solo nel 1952, ma negli Stati Uniti, mentre a Mosca il libro divenne disponibile solo nel 1988. Ora una nuova traduzione italiana (la prima apparve nel 1955), ottimamente curata da Alessandro Niero, esce negli Oscar Moderni Mondadori (pagine 240, euro 12).

I cittadini sono alfanumeri (l’io narrante, ingegnere come l’autore, si chiama D-503) e le loro case sono trasparenti in modo che i controllori (e tutti gli altri abitanti) possano verificare il conformarsi alle regole dello Stato unico che tutto disciplina (anche le procedure di masticazione del cibo, in una geniale invenzione di Zamjatin sul parossismo della omologazione sociale). Le tende si possono chiudere solo con preavviso e relativo permesso delle autorità di condominio per gli incontri sessuali, a loro volta regolati dietro domanda e autorizzazione di un ufficio preposto. Non è difficile vedere che questa distopia della trasparenza, con il sotteso pessimismo sulla natura umana, è la stessa che in forma ultrademocratica è descritta da Dave Eggers nel suo recente romanzo Il cerchio, in cui i politici fanno a gara nel porsi al collo una telecamera e trasmettere in tempo reale sulla propria pagina di social network tutte le loro attività e i loro incontri, in modo da fugare ogni sospetto sulla propria onestà e correttezza.

Ma è anche la stessa alla base dei progetti illiberali di Grande Fratello elettronico che la Cina ancora comunista sta realizzando, per sorvegliare e punire – potenzialmente – 1,4 miliardi di persone tramite la registrazione dei loro clic sulla Rete digitale. Razionalità, stretta adesione ai dettami della scienza, separazione con Muraglie e barriere dagli esseri che ancora sono legati a passionalità e desideri sregolati sono le ricette per una vita finalmente sicura e prevedibile. La soluzione per le tendenze antisociali è stata da ultimo trovata: «L’unico mezzo per liberare l’uomo dalle azioni criminali è liberarlo dalla libertà». L’equazione, da buon ingegnere, è servita: libertà dell’uomo = 0 nessun delitto. Il Benefattore – che richiama l’Inquisitore di Dostoevskij – veglia sulle vere aspirazioni dell’essere umano e viene rieletto senza alcuna defezione per alzata di mano. Peccato che le emozioni (l’amore in primis) non si possano davvero comprimere: donne e uomini non ancora asserviti tentano di rovesciare il regime...

La storia, nel diario di D-503, è da gustare anche per qualità letterarie e capacità di scavo psicologico. La mossa dello Stato unico per combattere i primi germogli di rivolta è un futuribile rimedio neuroscientifico contro la fantasia. Una volta bombardato con raggi X il plesso cerebrale nella regione del ponte di Varolio, la fantasia scompare. «Sarete perfetti come macchine – dice la propaganda – la via che conduce al 100% della felicità è sgombra: affrettatevi a sottoporvi alla Grande Operazione». In ogni caso gli alfanumeri sono sempre sacrificabili per la causa comune, la pietà è soltanto un residuo del passato. Ma nel protagonista fa addirittura capolino la vetusta illusione dell’anima, mentre richiami al cristianesimo pervadono tutta l’opera. Quello contenuto in Noi è un monito forte anche per l’oggi, perché la tecnica è sempre più pervasiva ed efficiente; solo un suo utilizzo da parte dei migliori angeli della nostra natura può evitare – domani come ieri – che essa diventi uno strumento di asservimento dell’uomo sull’uomo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: