giovedì 10 novembre 2022
"New York City 1", opera di Piet Mondrain del 1941, è stato esposto capovolto per oltre 75 anni a Düsseldorf. Eppure ha funzionato lo stesso: prova della grandezza di Mondrian
"New York City 1", opera di Piet Mondrain del 1941, è stato esposto capovolto per oltre 75 anni a Düsseldorf

"New York City 1", opera di Piet Mondrain del 1941, è stato esposto capovolto per oltre 75 anni a Düsseldorf - Reuters

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Qualche giorno fa è circolata la notizia che New York City 1, opera di Piet Mondrain del 1941, è stato esposto capovolto per oltre 75 anni alla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, in Germania. «E allora?» la mia reazione istantanea. In realtà la “scoperta” è degna di una riflessione che non riguarda i sofismi e le polemiche da archivisti, le cui mansioni conservative da contratto si oppongono con forza e tecnica alla natura la cui costante rigenerazione custodisce il fato ineluttabile del decadimento, nostra salvezza dalla stasi eterna. La morale del verso giusto è del tutto legittima naturalmente, eppure a me appare come un groviglio capzioso di questioni irrilevanti che evidenziano il nostro disinteresse alla sostanza, intrappolati nel reticolato delle norme rassicurante rifugio del giusto per decreto.

Da quando ho messo mano a un pennello, uno straccio, un calzino, tutti strumenti di pittura per cui a buon titolo si potrebbe dire che ho fatto dei quadri con i piedi, non ho mai creduto che un dipinto potesse ridursi ad avere un alto e un basso, una sinistra e una destra. Viene alla luce con ascisse e ordinate, poi, se da esercizio di accademia diventa poesia, questi spariscono. La buona pittura è buona anche capovolta. Se non è buona non sarà il verso giusto a riscattarla dalla sua insignificanza. Ci si dibatte dentro i confini sclerotizzati della figurazione e dell’astratto, oggi il riscatto dell’una domani dell’altro, noia mortale. Categorie buone per il bar, se il tema è l’arte. Figliastre di un feroce attaccamento all’idea di rappresentazione che nel pensiero non evoluto a sufficienza ha un verso di diritto. L’oggetto della mia agitazione tra barattoli e tastiere è che la pittura sia una scrittura liberata dalle pastoie dell’alfabeto, le lettere come è noto hanno un verso, nonostante spesso le riconosciamo anche al contrario. La pittura non “rappresenta” nulla se non se stessa, aggrovigliarsi di gesti sempre sul punto di farsi e di disfarsi, scrittura aperta intorno a un nucleo che non risente dello spazio, perché ha uno spazio proprio, caglio impermanente del districarsi nella sua stessa lingua, fieramente autonoma. Qualcosa di comune con la terra, se vai a sud non è che stai a testa in giù, il dilemma per bambini.

Non so se Baselitz con le sue figure ribaltate avesse in mente questo, ho l’impressione che il suo fosse più che altro ribellione fisica istintiva e non affermazione di concetto. Nel caso del Mondrian è del tutto evidente che il verso non ha alcun significato se non la nostra maledetta necessità di fare casa in casa altrui, privi di ascolto e di osservazione. Sforzo immane di demolizione dell’orientamento destinato sempre a fallire e per questo degna di essere perseguita, pittura è genesi e fine e ancora genesi del groviglio di pulsioni che si fanno gesto e quindi segno a tracciare una mappa che non c’è nella geografia che conosciamo, è altro, è altrove, il sopra e il sotto sono per gli scribacchini. La pittura se è buona va oltre il suo intendimento. Non escludo che Mondrian pensasse in termini di “paesaggio” il cielo sopra la terra sotto, la cartolina che ci opprime dal principio e da cui la poesia tenta una liberazione invano. Il fatto è che le sue griglie, disseccamento rigoroso di geometrie vegetali, hanno superato il proprio autore. Intuire che il verso sia sbagliato è regredire all’intenzione di una morale artificiosa, versione didascalica che illude di senso quando lo perde nella sua definizione ingenua di realtà.

Il magma che struttura forme impossibilitate a liberarsene ha una bussola diversa, senza quadrante, gli aghi esplosi dentro l’energia di coaguli impazziti della propria architettura. Il fatto che New York City 1 abbia funzionato per 75 anni è la prova della grandezza di Piet Mondrian, della sua lingua, dei suoi alberi anoressizzati nella griglia di una regola che libera il sopra e sotto dalle loro gerarchie. Poi arriva l’impiegato solerte delle convenzioni con il gps e lo rimette a posto.

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