giovedì 3 giugno 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
L’odore che respiri subito, che ti si appiccica addosso, è quello della fatica. Di sudore. Che qui, però, non si mischia al rumore di un martello pneumatico o di una ruspa, ma al suono del pianoforte. Alle note di Cajkovskij che riempiono la sala tappezzata di specchi dove una ventina di ragazzi infilano una via l’altra decine di pirouette. Milano. Via Campo Lodigiano. Frédéric Olivieri incita i suoi ragazzi. «Forza, più a tempo». Li corregge. «Più in alto le braccia». Ne ferma uno e gli mostra come fare. «Così. Piega meglio la gamba quando giri». Alla fine, quando la musica si ferma, senti il respiro corto. Li vedi asciugarsi la fronte. Prendere le loro borse, uno sguardo al monitor che scandisce le ore di lezione. E via. «Ora c’è Repertorio». Scuola di ballo del teatro alla Scala. Dove si formano i talenti di domani. Dove sono passati Roberto Bolle e Carla Fracci. Ma loro studiavano nella vecchia sede, sopra il palcoscenico del teatro. Oggi la scuola, nata nel 1813, ha una sede tutta sua. La ospita una palazzina a due passi dal centralissimo corso Italia. C’è tutto. Le sale, le aule studio, la mensa. E anche un pensionato che accoglie le ragazzine più piccole che per inseguire il loro sogno hanno fatto la valigia e sono sbarcate a Milano. C’è chi arriva dalla Sicilia. Chi dalla Toscana. E chi da un paesino alle porte del capoluogo lombardo. Sono in tanti: 180 negli otto corsi che portano al diploma, 170 i piccoli della propedeutica. «Per arrivare qui le selezioni sono dure – racconta Olivieri, alla guida della Scuola dal 2006, quando ha lasciato la direzione del Corpo di ballo della Scala –: ogni anno riceviamo tra le 600 e le 700 domande, ma i posti al primo corso sono solo una quarantina. E di questi arrivano al diploma in meno di venti». Sudore e fatica. E rinunce. «La danza è stata sempre la mia passione, ma che sofferenza andare a lezione ogni pomeriggio mentre i miei amici uscivano a giocare e a divertirsi» racconta il napoletano Gianluca Mascia, neodiplomato, arrivato in Scuola due anni fa. Qui siamo lontani anni luce dai reality tv sul modello Amici perché quello della danza, spiega Olivieri, «è un mestiere durissimo che quotidianamente ti impone un esame, quello del palcoscenico, ma anche quello della sala prove dove, ogni mattina, tutto ricomincia. Anche per i più grandi». Allora provi a strappargli un nome. «No. Perché poi i genitori mi tormentano. E li capisco». Ma alla fine Olivieri si lascia andare e, indicandoteli tra i ragazzi alla sbarra, ti dice chi, secondo lui, saranno gli eredi di Alessandra Ferri e Roberto Bolle. «Alice Mariani è un talento puro. E Stefano De Angelis ha doti straordinarie». Entrambi al settimo corso, con ancora un anno di scuola prima del diploma, ripetono davanti allo specchio, senza stancarsi, lo stesso passo. Sempre quello. Per cercare la perfezione. Che poi è l’ideale più alto della danza. Olivieri li osserva soddisfatto. «Ma anche tra i più piccoli ci sono ragazzi con notevoli qualità artistiche. È su loro che scommettiamo facendo in modo che non sprechino il loro talento». Prove e studio. Gli allievi della Scala non perdono un giorno di scuola. I più grandi lavorano al mattino e frequentano il liceo serale. I ragazzini delle medie arrivano in sala prove nel pomeriggio. Prima tutti in fila, ordinati, mangiano in mensa e poi via, a infilarsi calzamaglia e tutù. Olivieri conosce le storie di tutti. Li chiama per nome. Si informa sugli studi. «Domani abbiamo una verifica di matematica» gli spiega, scattando in piedi, una ragazzina che tra una lezione e l’altra di danza ripassa il teorema di Pitagora. «Mi raccomando, facci fare bella figura» la incoraggia lui. Lei sorride e si risiede. Perché quando «entra il direttore per rispetto ci si alza a salutarlo». Fanno così tutti gli allievi. Un’educazione, una disciplina che sembrerebbe non appartenere più ai giovani d’oggi, quelli che ci racconta la tv. Potenza della danza. Di una passione che tiene incollati centinaia di giovani alla sbarra a provare e riprovare passi nella speranza di farcela. Perché se è vero che uno su mille ce la fa è anche vero che «quell’uno potrei essere io» come dice Nicola Strada, anche lui neodiplomato, avvicinatosi alla danza «che non sapevo nemmeno cosa fosse, per seguire una compagna di scuola che mi piaceva. Ora lei ha smesso e io sono qui a fare audizioni per il Bejart ballet di Losanna» racconta mentre si asciuga il sudore. Che sa di fatica. Che sa di vita.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: