martedì 31 marzo 2020
I giovani e visionari registi romani premiati a Berlino, si raccontano in un libro con i loro scatti, "Farmacia notturna". «Istantanee di realtà che ci aiutano a conoscerci»
I fratelli D'Innocenzo

I fratelli D'Innocenzo - © Stefano Dal Pozzolo/Contrasto

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«Io vorrei raccontare con queste foto qualcosa di misterioso… e di mio, qualcosa che può diventare anche tuo, ma ti deve andare di conoscermi… – alla fine è solo una luce che ha dei ricordi. – Alla fine è solo un’intervista con te stesso – no… è solo una luce che ha dei ricordi… come vedi quei ricordi… anzi, come vuoi ricordarti quei fatti che stai vivendo, passati anni… come vuoi ricordarti… – i movimenti – i ricordi». Uno parla in grassetto, l’altro in tondo, ma «non ci ricordiamo più chi è l’uno e chi è l’altro». Perché sono diversi, ma poi sono molto uguali. Non solo fisicamente. Perché riescono a unire le loro visioni e si completano, parlando con una sola voce. Che sia una macchina fotografica, i versi di una poesia, i colori di un disegno o la storia di film. Sono gli eclettici e visionari fratelli D’Innocenzo. Fabio e Damiano, classe 1988. Gli autori del film Favolacce – premiato a Berlino, lo scorso febbraio, con l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura (atteso in sala il 16 aprile se l’emergenza Coronavirus lo permetterà) – mostrano ora il loro lato più intimo. E si raccontano in 73 fotografie accompagnate da un dialogo in “tondo e grassetto”. In Farmacia notturna (Contrasto, pagine 96, euro 24,90) scorrono istantanee di vita e di ricordi, di «demoni» e «misteri»: i volti degli amici e delle ragazze, dei passanti oppure i paesaggi visti nel corso di viaggi, ma anche gli scorci di una tenera quotidianità familiare. Istantanee di realtà, come il loro cinema, per i gemelli nati nella periferia di Roma, a Tor Bella Monaca, e poi cresciuti fra Anzio, Nettuno e Lavinio, prima di tornare nella Capitale. «Le foto più belle sono quelle che non sono pubblicate – dice Fabio –. Sono quelle di quando entri nella casa di uno sconosciuto e trovi immagini stupende sui mobili. Scatti poetici, meravigliosamente dilettanteschi, fatti senza la velleità di una pubblicazione. E quindi puri. Foto di famiglia che restano in famiglia.

Dal libro fotografico dei  fratelli D'Innocenzo, “Farmacia notturna”  (Contrasto): “Lisbona”'

Dal libro fotografico dei fratelli D'Innocenzo, “Farmacia notturna” (Contrasto): “Lisbona”/ - © 2019 fratelli D’Innocenzo

ome gli album dei nostri genitori. Foto in cui c’è qualcosa che si frappone fra la volontà di chi scatta e quello che ha realizzato, ed è la vita. Quando ci è arrivata la proposta di questo lavoro, abbiamo colto l’occasione per ripercorrere gli ultimi dieci anni della nostra vita attraverso gli scatti della compact camera della Ricoh che condividiamo e ci scambiamo». Come un dialogo, per conoscersi. « Le foto non devono essere belle… le foto ti devono cambiare… Io spesso fotografo una cosa e quando torno e mi rivedo le foto, mi conosco un po’ di più… quindi fotografo perché una cosa mi fa impressione o mi colpisce, ma non so bene perché… (…) guarda, ne sto guardando una a caso, questa… aspetta te la mando… arrivata? – Sì… – ecco, questa è stupenda ma non so ancora perché… forse lo capirò tra un po’… – vabbè… però… secondo me questa è bella solo perché è bella, senza troppe… – sì, ma perché è bella? Che ne so, perché l’hai fatta tu».

La loro fotografia nasce così, per diletto. Un po’ come tutta la loro arte. Le poesie (è dello scorso anno Mia madre è un’arma, con la Nave di Teseo), disegni («prima o poi faremo un libro di fumetti») e il cinema. Per loro da autodidatti in tutto: dopo le superiori all’alberghiero («non era questa la nostra strada»), fra un lavoretto e l’altro per mantenersi, si sono catapultati nell’arte, forti della cultura respirata fra le mura domestiche. Una scrittura quasi bulimica, ma intima. Il salto “pubblico” è arrivato con Matteo Garrone, dopo un incontro del tutto casuale in un ristorante della Capitale: il “maestro” ha visto un grande talento e li ha coinvolti nella scrittura di Dogman, prima del loro personale e fortunato debutto – sempre a Berlino – con La terra dell’abbastanza nel 2018. Un successo che non cambia la loro autenticità. «Preferiamo tenerci stretta la nostra la dolcezza amatoriale. In un’epoca in cui tutti tengono a dire che sono seri e rispettabili in quello che fanno, noi vogliamo essere avventurosi e scanzonati». Come fotografi flâneur di ultima generazione. «Abbiamo cominciato con il disegno – dice Damiano – poi la poesia, la scrittura, la fotografia, e infine il cinema che ha racchiuso tutto il resto. Non a caso il cinema è un’arte estremamente collettiva: per rispecchiare quello che hai scritto, nel modo con cui lo hai fatto, c’è bisogno di una dialettica precisa, deve abbracciare la sensibilità di settanta anime. Quell’aurea cinematografica del “sono un genio” è una stupidaggine. Il cinema è corale. I premi sono di tutta la nostra famiglia cinematografica. La fotografia invece è un’arte segreta. Siamo noi e basta ».

Dal libro fotografico dei  fratelli D'Innocenzo, “Farmacia notturna” (Contrasto): “Parigi”

Dal libro fotografico dei fratelli D'Innocenzo, “Farmacia notturna” (Contrasto): “Parigi” - © 2019 fratelli D’Innocenzo

“Noi” è due. Pensare in due. Completarsi in due. «Essere fratelli – riprende Damiano – la trovo una cosa meravigliosa… Io lavorerei con mio fratello anche se facesse il benzinaio. Pure all’area di servizio troveremmo qualcosa di interessante da fare insieme. Avere un fratello è una fortuna immensa, pensate avere un gemello… Per me vuol dire che prima di addormentarti chiami l’altro per chiedergli com’è andata la giornata e che ti interessa di più di come l’hai passata tu. Smetti di parlare al singolare. Vivi in una comunione d’intenti» che diventa anche artistica. Senza cercare paragoni con i Coen o i Taviani. Ogni coppia fa storia a sé. Ognuno «ha il proprio vissuto, ed è quello che conta». «Ma è affascinante il tema del doppio – interviene Fabio –. Ci ossessiona il fatto che tutti noi abbiamo nello stesso momento ombre e luci... Per questo la nostra fotografia è densa di ombra, anche se scattiamo a colori. Ci affascinano la doppiezza, l’ambiguità, le contraddizioni. Che sono più visibili quando sei a tu per tu con lo specchio ». L’ombra. E il suo opposto, la luce: «Una luce che ha i ricordi» come scrivono in apertura di Farmacia notturna. Una luce a neon verde nel buio: «Giustifica la fine di una giornata – dice Damiano –. Quel segnale di farmacia che compare mentre aspetti il pullman per tornare a casa. Un’intermittenza rassicurante. Che in questo momento può as- sumere un significato salvifico, una cura. Pensiamo che anche scattare fotografie, scrivere una poesia possa essere una medicina». In questa “favolaccia” collettiva che stiamo vivendo al tempo del Coronavirus la fotografia è quella che si può “vedere” dalla finestra. «Il mio auspicio – dice Fabio – è che possa essere un momento di riflessione per tanti aspetti del mondo piuttosto che un continuo cercare simulacri, alternative e surrogati per scappare da questa mancanza di contatto. La speranza è che finito tutto, le persone abbiano ancora la curiosità di farsi scuotere dalle arti». «Ho visto delle foto meravigliose arrivare dalla Cina – aggiunge Damiano –. Lì la sofferenza è vissuta in maniera più pudica. Noi abbiamo un diverso modo di stare al mondo, viviamo in una perpetua frenesia da Sanremo, fra proclami e il circo degli hashtag. Per questo ho scelto di abbandonare Facebook e Instagram, per riscoprirmi interprete della mia vita, nel silenzio. Vivere la noia, la malinconia. E se non possiamo incontrarci per strada allora non voglio neanche incontri virtuali. Altrimenti il rischio, quando torneremo alla normalità, è che potremmo scoprire di poter fare a meno dalla realtà e ci potrebbe anche andare bene». Invece è la realtà che conta per i D’Innocenzo. La fotografia e il cinema del reale. «Per indagare gli aspetti e le contraddizioni dell’essere umano – dice Fabio –: dalla periferia romana (come nella Terra dell’abbastanza, ndr) all’ovunque dell’insospettabile media borghesia (come in Favolacce, ndr). Ci muoviamo nello sfumato, nei toni di grigio. Tratteggiando i nostri personaggi senza essere indulgenti e senza distanza. Per vedere, come direbbero gli americani, “quello che è”. Semplicemente quello che è». «Se ripenso a queste foto, penso a casa… se penso a queste foto, penso agli anni, alle relazioni – alle nostre cose – ai viaggi alle cose che si sono – perse – rotte – quelle che non c’erano e che ora inizi a vedere – se penso a queste foto penso».

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