sabato 7 marzo 2015
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«Tredici al giorno, novantuno a settimana, almeno quattrocento al mese, meno i trenta che sputavo. Erano queste le mie lezioni di matematica». Sono i bocconi della pappa che la mamma di Mateusz gli porta alla bocca e lui commenta così, con la sua voce interiore, perché quella vera non gli può uscire. La paralisi cerebrale che lo affligge dalla nascita non gli permette di vivere come i suoi coetanei. Lui si muove a stento, le articolazioni sono contorte, i suoni che emette simili a grugniti, striscia per casa oppure sta alla finestra a guardare silenzioso il mondo là fuori. Ma Mateusz è amato per ciò che è: una persona. Il padre gli dice, sull’uscio: «Quanto sei bello» e lo incoraggia a non arrendersi mai. Non vede quel corpo accartocciato sul pavimento, ma il figlio che ha generato con amore. E con una pazienza coraggiosa e un affetto incommensurabile la mamma lo accudisce senza desistere mai, dapprima nel piccolo appartamento dove vivono – è il 1987 –, poi in un centro di assistenza specializzato. Lei non crede alle parole di una dottoressa che, gelida, le ha detto: «Non riuscirete mai a comunicare, il suo cervello non funzionerà mai, lui è un vegetale». Si scoprirà il contrario quando Mateusz di anni ne compirà 25. Il titolo del film che il regista polacco Maciej Pieprzyca gli dedica, Io sono Mateusz (quello originale è Chce sie zyc, letteralmente Vuole vivere) rivendica questo diritto ad esserci, alla vita. Ha collezionato numerosi premi, ha scosso le platee dei festival ove è stato proiettato, in Italia esce in sala il 12 marzo. È tratto da una storia vera, quella di Przemek, tutt’ora ospite di una struttura che accoglie questo genere di disabili. «L’ho dedicato alla mia cara amica Ewa Pieta – racconta Pieprzyca a Avvenire– , una regista di documentari che nel 2003 ha realizzato Come una farfalla, nel quale ha raccontato la storia di Przemek, un ragazzo di 22 anni affetto da paralisi celebrale fin dalla nascita. Ewa all’improvviso si ammalò di un tumore e nel 2006 è deceduta. Dopo la sua morte ho deciso di interessarmi di nuovo al tema del suo documentario. Conoscevo poco o niente del mondo delle persone disabili. Mi sono informato, ho incontrato Przemek e tanti altri ragazzi con le stesse problematiche. In Polonia non ci sono mai stati i film con un ragazzo deforme come protagonista, l’idea ha inizialmente sollevato molti dubbi. Non ero ancora sicuro che la sua storia potesse essere raccontata in un lungometraggio destinato al cinema. Dopo aver scritto sette versioni della sceneggiatura, sono riuscito a realizzarlo e ne sono orgoglioso».Lei riesce a creare una forte empatia con il mondo e la malattia di Mateusz, ma senza essere costretti a viverla con dolore. «Volevo creare una storia sul mondo dei disabili ma non doveva essere un film triste. Quando ho conosciuto le persone affette da paralisi celebrale mi sono reso conto che erano dotate di un grande senso dell’umorismo. Questo è stato un input importante per me. Nel film ho mescolato momenti di tristezza con quelli di allegria. Così come succede nella vita».Che cosa ha voluto evitare nel film? «Una delle cose che temevo di più era il fatto che potesse diventare troppo sentimentale, destinato soltanto a platee disposte alla lacrima facile. Il mio intento, invece, era quello di fare un film basato esclusivamente sulla realtà, senza falsi pietismi. L’obiettivo primario è stato quello di conservare l’autenticità. In sostanza, si trattava di affrontare temi etici».La forza drammatica del film scaturisce anche dal rapporto tra Mateusz e i diversi personaggi con i quali entra in contatto: il fratello e la sua ragazza, Magda la volontaria, Eva la giornalista, Jola la dottoressa, i medici, gli infermieri e i compagni di malattia.«Il protagonista del film è prima di tutto un semplice, simpatico ragazzo. Poi è anche disabile. Ha le stesse esigenze e gli stessi bisogni di una persona così detta ’“sana’”, gli stessi impulsi e desideri affettivi e sente anche il bisogno di amare e essere amato». È stato difficile trovare l’attore adatto per il ruolo di Mateusz?«Sì, molto. Prima di tutto perché questo ruolo è difficile da interpretare. Cercavo un attore con una grande sensibilità e capacità, in grado di abbandonarsi totalmente e di diventare una persona nuova. In Dawid Ogrodnik – uno dei protagonisti di Ida, Oscar come miglior film straniero – ho trovato tutte queste caratteristiche. Non solo è pieno di talento, ma possiede anche una straordinaria capacità di trasformazione, è dimagrito dieci chili per rendere più credibile il suo personaggio ed è stato capace di trasformarsi completamente in un ragazzo invalido».   Przemek, al quale il film è ispirato, è riuscito a vedere il film, ha fatto un commento?«È venuto alla première con tutta la sua famiglia. Dopo la proiezione e grazie al linguaggio Bliss, basato interamente sui simboli e col quale Mateusz nel film impara a comunicare, è riuscito a dirmi che gli è piaciuto molto».
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