mercoledì 21 aprile 2021
Marco Ventura in “Nelle mani di Dio” indaga l’evoluzione della spiritualità: «Le domande più urgenti riguardano il rapporto fra religioni e mondo attuale. Un processo che investe gli stessi atei»
Un momento dell’intenzione di preghiera per il mese di gennaio 2016 di papa Francesco

Un momento dell’intenzione di preghiera per il mese di gennaio 2016 di papa Francesco - Ansa

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L’equivoco va sventato fin dal principio: parlare di «superreligione », come fa Marco Ventura nel suo ultimo saggio, Nelle mani di Dio (il Mulino, pagine 192, euro 15,00), non significa affatto evocare l’avvento di un nuovo culto globalizzato e indistinto. «In questione c’è la consapevolezza che ciascun credente è portato a sviluppare nei confronti di esperienze di fede diverse dalla sua», spiega lo studioso, che subito dopo pone la domanda nella quale, volendo, potrebbe esaurirsi l’intervista: «Contrariamente a quello che si pensava, le religioni non sono scomparse – dice – . Ma adesso che cosa ce ne facciamo?». Professore di Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Siena, Ventura è da tempo impegnato sia in una serie di progetti innovativi all’interno del proprio ateneo (un corso su religioni e comunicazione, uno sulla diplomazia religiosa), sia in iniziative internazionali quali il G20 Interfaith Forum e le commissioni Osce sulla libertà religiosa. «Mi capita spesso di confrontarmi con colleghi che danno per scontata l’inesistenza di Dio – racconta –. A parte ogni altra considerazione, mi sembra un atteggiamento poco produttivo dal punto di vista del metodo. In questo modo, infatti, non si riesce ad apprezzare la profondità e la vastità di istanze caratteristiche dell’esperienza religiosa».

Marco Ventura

Marco Ventura - -

Ed è per questo che si sbagliano le previsioni?

Quella sulla morte di Dio sicuramente non si è avverata. Lo sappiamo da più di quarant’anni, vale a dire da quando, nel 1979, si sono messi in moto i fenomeni destinati a scatenare quella che Gilles Kepel ha definito «la rivincita di Dio». Nello stesso tempo, però, dobbiamo ammettere che la permanenza delle religioni si è accompagnata a una trasformazione dell’immagine di Dio, così come è percepita non solo dai credenti (che rappresentano comunque l’85% della popolazione mondiale), ma anche dai cosiddetti «non affiliati»: un 15% di umanità nel quale confluiscono convinzioni e sensibilità spesso differenti tra loro, nessuna delle quali può ritenersi del tutto estranea alla prospettiva della super-religione.

Anche gli atei non sono più quelli di una volta?

Non potrebbe essere altrimenti, considerato che hanno come interlocutori credenti diversi da quelli del passato. Rispetto alla situazione precedente, nella quale l’ateo rivendicava per sé l’ambito della giustizia e dell’impegno sociale, adesso il terreno sul quale non l’ateo stesso intende cedere è proprio quello della fede. Siamo nel contesto di una religiosità naturale che, anche per effetto delle più recenti scoperte scientifiche, si apre sempre di più al mistero, all’invisibile, alla ricerca di senso. Ma è evidente che una temperie di questo tipo mette in discussione le religioni tradizionali, che da un lato integrano in sé questo elemento istintivo e dall’altro sono chiamate a superarlo. La fede del credente non è identica alla fede dell’ateo, ma in qualche misura la presuppone. Una contraddizione che a volte rischia di risolversi in arroccamento, in chiusura.

L’alternativa quale sarebbe?

Forse quella di riconoscere che ciascuno di noi, credente o non credente, oscilla tra il sentimento e la volontà, tra un modo estemporaneo di vivere la dimensione religiosa e forme più strutturate di disciplina spirituale. Un discorso analogo vale per quelle che, nel libro, indico come le «tre mani di Dio».

Armata, invisibile, aperta…

Esatto. La prima immagine rinvia al rapporto con la violenza, che ha inizialmente acceso l’interesse dell’opinione pubblica sul ritorno, o se si preferisce sulla persistenza del fattore religioso. La mano invisibile, poi, riprende la celebre metafora di Adam Smith sulla funzione provvidenziale del mercato, che oggi si estende al ruolo che la religione può ricoprire nelle questioni relative allo sviluppo, alla sostenibilità ambientale, al bene comune. Infine, la mano aperta esprime l’urgenza del dialogo e del confronto. Ed è quando si arriva a questo punto che emerge la domanda sul significato delle religioni nel mondo contemporaneo.

Mi scusi, ma non si tratta sempre della stessa mano?

A mio avviso sì, ma conosciuta e sperimentata in occasioni differenti. Questo non diminuisce la responsabilità individuale, semmai la accresce: sono gli esseri umani che devono decidere quale uso fare della propria fede.

Qual è l’apporto del dialogo interreligioso?

È una delle articolazioni più interessanti di quel processo di “religione programmata” che, per quanto si prefigga obiettivi chiari non esclude mai l’imprevedibilità di Dio Il versante più delicato, e di conseguenza decisivo, è quello dell’identità, che il dialogo mette in gioco e nello stesso tempo esalta: nel momento stesso in cui mi rendo conto di quanto la fede degli altri sia necessaria per comprendere la specificità della mia, non posso fare a meno di ribadire la superiorità di quest’ultima.

Non è un temine insidioso, questo di superiorità?

Sì, proprio per questo non va eluso. In sostanza, è una delle tante applicazioni di quel prefisso, super, che può indicare l’esclusivismo e l’inclusione, qualcosa di cui si rivendica la proprietà ma anche un sentimento universale che permette di riconoscere e apprezzare le reciproche differenze. Anche in questo caso, si tratta di scegliere: posso rifiutare l’altro perché temo che mi trasformi, facendomi perdere l’identità di cui sono geloso, oppure posso assecondare questa trasformazione assegnandole un limite, oltre il quale l’integrità della mia fede finirebbe per essere intaccata.

Come si inserisce la Chiesa cattolica in questo quadro complessivo?

Come un laboratorio unico per l’ampiezza e la qualità del dibattito che vi si sta sviluppando. Oggi più che mai il cattolicesimo si sta dimostrando capace di accogliere al proprio interno un travaglio di pensiero che non nasconde le disparità di vedute, le turbolenze, addirittura i dissidi che segnano il momento storico attuale, ma punta a rielaborarle e reinvestirle nella relazione con il mondo. Non sempre questa ricchezza è percepita in modo adeguato. Dall’esterno, in particolare, si insiste molto sul cammino che la Chiesa cattolica ha compiuto nel campo della libertà religiosa, la quale a sua volta è l’applicazione concreta di un cammino più complesso. La prospettiva della super-religione, insisto, non comporta alcun appiattimento delle differenze. Le religioni non sono tutte uguali. Per questo occorre interrogarsi sula specificità di ciascuna e valorizzarla anche a beneficio delle altre.

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