mercoledì 25 settembre 2019
Il filosofo ospite del Csfg: «Non è accettabile che i cinque giganti di internet stabiliscano l’infrastruttura digitale. L’Europa può essere l’alternativa ai modelli di Silicon Valley e Cina»
Julian Nida-Rümelin

Julian Nida-Rümelin

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Julian Nida-Rümelin è professore di Filosofia e teoria politica presso la Ludwig-Maximilian- Universität di Monaco di Baviera e professore onorario all’Istituto di Filosofia della Humboldt- Universität di Berlino. È stato ministro della cultura nel primo governo Schröder ed è uno dei più noti intellettuali in Germania. Il suo pensiero spazia dall’etica teorica e applicata alle teorie della razionalità e della decisione, nonché alla filosofia politica. Nida-Rümelin si è dedicato agli ambiti dell’etica dell’agire tecnico, dell’etica ambientale e dell’etica medica, pubblicando a questo proposito il manuale Angewandte Ethik e il volume Ethische Essays. In lingua italiana sono usciti dall’editore Franco Angeli: Democrazia e verità (2015), Per un’economia umana. La trappola dell’ottimizzazione (2017) e Pensare oltre i confini. Un’etica della migrazione (2018).

Lei interverrà al convegno Democrazia e verità. Tra degenerazione e rigenerazione promosso dalla Fondazione Centro Studi filosofici di Gallarate che si terrà a Roma nei prossimi giorni. Sul tema lei ha pubblicato un volume uscito anche in traduzione italiana, greca e cinese. Quali ritiene che siano, oggi, i problemi più rilevanti che i Paesi democratici devono affrontare?

I problemi che hanno i paesi democratici riguardano la relazione tra democrazia e verità. Se si intende la partita politica come un gioco di interessi o di identità culturale senza pretese di verità allora il discorso pubblico si trasforma in un grande teatro dell’illusione. Per esempio nel mentre si propone un argomento a favore di un progetto politico lo si concepisce come espressione di interesse o di identità culturale. Nel frattempo il populismo di destra usa la svalutazione della verità per i suoi scopi. Se tutto è illusorio allora everything goes.

Provocatoriamente si potrebbe osservare che la questione del rapporto tra democrazia e verità non sembri però di grande attualità nel dibattito politico: forse si dà per acquisito che la tensione sia risolta dal meccanismo democratico stesso basato sulla regola di maggioranza e sulla possibilità per tutti di esprimere il proprio parere su qualsiasi tema. In che senso a suo parere è invece urgente una nuova riflessione su questo tema?

La regola della maggioranza per sé non costituisce la democrazia altrimenti il regime nazista in Germania dal 1933 fino alla fine della seconda guerra mondiale sarebbe stato una democrazia! La democrazia è un sistema abbastanza complesso: senza diritti individuali non esiste la democrazia; la democrazia senza la disponibilità di partecipare politicamente ai processi politici per esempio nei consigli comunali non funziona. Senza spendersi per chiarire che cosa è il bene comune, senza un impegno per uno stato sociale sufficientemente giusto non c’è democrazia. La democrazia dipende in gran parte da un’immagine coerente della realtà. Perciò una democrazia senza la ricerca di una verità empirica e normativa non esiste. E adesso con i populismi di destra e di sinistra questi pericoli sono più attuali che mai.

La democrazia vive – anche – di informazione e comunicazione e lei ne parlerà nella sua relazione dal titolo Democrazia e verità all’epoca della comunicazione digitale. Come ritiene si possa agire rispetto alla questioni della accessibilità alla informazione, del monopolio della produzione di informazione, della costruzione strumentale delle notizie?

La comunicazione digitale è infatti ambivalente. Da una parte aiuta la partecipazione politica; dall’altra conduce a una sfera pubblica compartimentata. Attualmente c’è un processo di ri-politicizzazione specialmente dei giovani ma non solo e questo si svolge sui social media. Dall’altra parte le dittature usano mezzi digitali per controllare la cittadinanza.

Un grande ruolo oggi è giocato appunto dai social media e, come sappiamo, dagli algoritmi che gestiscono, di fatto, l’accesso alle informazioni, con il rischio che molti vivano in filter bubbles che causano impoverimento a livello cognitivo e anche relazionale. Quali consigli può dare a fruitori dei social e ad educatori che hanno a che fare con giovani sempre più in simbiosi con i loro smart devices?

La risposta radicale è quella che suggerisce di cambiare la direzione dello sviluppo digitale presente. Non è accettabile che i cinque giganti di Internet stabiliscano l’infrastruttura digitale. Il risultato è che tutto è guidato da interessi commerciali. Questo è un fenomeno nuovo nella storia dell’industrializzazione perché in questi ultimi tre secoli la responsabilità delle infrastrutture è stata pubblica, degli stati. La comunità europea ha la forza economica e potenzialmente anche politica di stabilire un’infrastruttura neutrale alternativa ai due modelli dominanti: quello di Silicon Valley e quello cinese. Il primo è guidato da interessi commercia-li, il secondo è controllato dallo stato. Forse è già troppo tardi per invertire questa tendenza. La formazione digitale deve orientarsi ai valori umanistici di Urteilskraft (capacità di giudizio) e autonomia personale.

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