martedì 26 aprile 2011
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Roberto Bolle mette subito le mani avanti. «Non sono una rockstar del balletto». Eppure quando leggi che il 29 aprile si celebra la Giornata internazionale della danza promossa dall’Unesco il primo nome – e forse l’unico – che viene in mente anche a chi non ha mai visto un balletto è il suo. «A maggior ragione è necessario mettere in calendario una giornata dedicata alla danza, perché è ingiusto che molti miei colleghi validi non siano conosciuti» dice il ballerino che domani e venerdì sarà il protagonista del Gala des Étoiles al Teatro alla Scala. «Anche se sono convinto che per celebrare una giornata come quella del 29 aprile, il cui scopo è avvicinare al balletto chi solitamente non lo frequenta, si debba fare qualcosa di più che lasciare l’organizzazione di spettacoli ed eventi alla buona volontà delle scuole di danza sparse in tutto il paese».Secondo lei, allora, cosa occorre?La volontà di uscire dal nostro piccolo mondo portando la nostra arte fuori dai teatri. Io ci ho provato con la pubblicità, con i libri e le copertine dei giornali, con la presenza in televisione e la partecipazione alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali di Torino. Un percorso lungo e faticoso, che ho portato avanti non sottraendo tempo allo studio e alle prove in teatro, il luogo dove è nata e dove continua la mia storia, ma sacrificando la vita privata. Certo, se mi guardo intorno non vedo altri colleghi che hanno fatto lo stesso.Un rimprovero?Un incoraggiamento a non farsi intimorire da questa sfida. Non possiamo aspettare che la gente venga da noi, dobbiamo andarla a cercare. Tanto più che la danza da qualche tempo sta riscuotendo grande interesse, soprattutto tra i giovani.In televisione è presentissima: ma stacchetti e coreografie formato tv fanno davvero bene al balletto?Male non fa. Anche perché il balletto televisivo ha riempito un vuoto e non ha preso il posto di quello classico in teatro dove continuiamo a danzare le coreografie di Petipa e Nureyev. Compito della tv è quello di suscitare curiosità: sarei contento se un telespettatore di Amici di fronte a un passo a due dallo Schiaccianoci senta il desiderio di andare a teatro a vedersi tutto il balletto. Certo, ci vorrebbe anche qualche dirigente che pensasse a programmi specifici per riportare la grande danza in tv: se serve, mi metto a disposizione.Forse il problema sarebbe legato agli ascolti. Cosa che sembra capitare anche in teatro vedendo come sempre più spesso si faccia leva sull’elemento della provocazione.È indubbio che spesso diventi uno strumento per attirare pubblico. Ma è anche giusto che la danza segua un proprio percorso, segnato dall’evoluzione del linguaggio: la provocazione, certo, non deve essere fine a se stessa e, soprattutto, deve porsi dei limiti.Vasco Rossi che firma le musiche per un balletto alla Scala è una provocazione?Penso sia una buona opportunità per avvicinare nuovo pubblico. È giusto che il teatro si apra alla società. Non ci sarò in quello spettacolo. E mi dispiace.E il suo apparire nudo nella «Giselle» di Mats Ek? Nulla di gratuito: era un gesto che arrivava al termine di un percorso doloroso del principe, perfettamente in linea con il linguaggio del coreografo. Nulla di volgare o di esibito.Non teme che oggi la danza dimentichi la sua componente artistica per diventare solo esibizione di bellezza del corpo, una bellezza inseguita e conquistata a caro prezzo?  Il rischio c’è. Anche perché la società impone modelli estetici che portano ad una ricerca esasperata della bellezza. Un fascino che subiscono soprattutto le giovani generazioni di danzatori. Sono fiducioso, però, che l’impatto con la scena, il confronto con i grandi personaggi che richiedono scavo interiore possa diventare un momento di maturazione.
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