venerdì 7 aprile 2023
Nella Crocifissione di Capodimonte, in mostra al Museo Diocesano di Milano, in cima al legno al posto del cartiglio dell'INRI è dipinto un albero. Ecco il perché
Masaccio, "Crocifissione", particolare. Napoli, Museo di Capodimonte

Masaccio, "Crocifissione", particolare. Napoli, Museo di Capodimonte - WikiCommons

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Fino al 7 maggio il Museo diocesano di Milano ospita uno dei grandi capolavori dell’arte italiana, la Crocifissione di Masaccio, prestito eccezionale del Museo di Capodimonte di Napoli. La tavola costituiva in origine la cuspide di un polittico realizzato nel 1426 per una cappella nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa. Era un’opera monumentale, alta circa 5 metri, articolata in una complessa cornice, con al centro l’immagine della Madonna col Bambino. Smembrato già alla fine del XVI secolo, del polittico sopravvivono alcune parti.

Proprio l’altezza a cui era posto il dipinto spiega la particolarità con cui Masaccio mostra Gesù: è ripreso in forte scorcio, con il capo chinato incassato nelle spalle, come se lo osservassimo stando ai piedi della croce. Da qui il corpo di Cristo ci appare in tutta la sua fisicità, potremmo persino dire che ne percepiamo il peso: la croce dunque come il compimento dell’incarnazione. È un autentico pezzo di bravura, in cui Masaccio applica la prospettiva, invenzione brunelleschiana allora recentissima.

Attorno alla croce ci sono Maria, Giovanni Evangelista e la Maddalena (di schiena, rivestita di una manto rosso fiammeggiante e le braccia alzate: un’immagine nuovissima), distrutti dal dolore. Con una combinazione di tecniche, queste figure sono rappresentate frontalmente. La ragione è semplice: se Masaccio avesse adottato la prospettiva, di queste avremmo visto solo l’orlo delle vesti e il mento. L’abilità del pittore sta nel mescolare i due punti di vista con grande naturalezza in una scena emotivamente coinvolgente: proprio quell’impressione di stare sotto la croce ci spinge a identificarci di volta in volta nella madre o negli amici di Gesù.

L’arte così scabra e asciutta di Masaccio si rivela anche profondamente umana. Quella di Masaccio è forse una delle crocifissioni più drammatiche mai dipinte. Ma al tempo stesso è quella in cui il significato salvifico è più esplicito. Se alziamo lo sguardo, in cima alla croce vediamo spuntare un alberello. Un fatto piuttosto insolito: lì ci dovrebbe essere il cartiglio con l’INRI. E infatti nel Seicento avevano “normalizzato” l’immagine, ridipingendoci sopra la scritta: l’albero è stato ritrovato durante un restauro tra il 1956 e il 1957.

L’immagine sembra rimandare alla liturgia del Venerdì Santo quando, durante l’adorazione della croce, veniva cantato uno degli inni più belli sotto il profilo poetico, teologico e musicale, della tradizione gregoriana: il Crux fidelis. Il testo è di Venanzio Fortunato, l’autore anche del Vexilla Regis, e risale al 570 circa: Crux fidelis, inter omnes arbor una nobi-lis, / nulla talem silva profert flore, fronde, ger- mine, / dulce lignum dulce clavo dulce pondus sustinens (“Croce fedele, fra tutti unico albero nobile: / nessuna selva ne produce uno simile per fiore, fronda e frutto, / dolce legno che con dolci chiodi sostiene il dolce peso”). L’immagine chiave di tutto l’inno è come l’albero della croce e il suo frutto pongano fine a quella storia che era cominciata con un altro albero e un altro frutto.

Venanzio qui sviluppa, potremmo dire persino che fa fiorire, il parallelismo Adamo-Cristo già enunciato da Paolo nella lettera ai Romani, messo a punto da Ireneo di Lione nel III secolo e richiamato in tante croci medievali nelle quali, in ossequio a una leggenda allora assai diffusa, la croce è conficcata sulla tomba del progenitore. Non solo. I Padri della Chiesa avevano esplorato simbolicamente la croce come rimando all’albero della vita piantato nell’Eden, ma anche in relazione ai diversi bastoni che nell’Antico Testamento fioriscono, come quello di Aronne, o al tronco di Iesse, dal quale sarebbe spuntato il germoglio messianico. La croce, dunque, come autentico arbor vitae.

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