giovedì 21 agosto 2014
​Colpiti soprattutto i messaggi che cercano di coinvolgere più persone, riferendosi ad azioni collettive o proteste di piazza. Lo rivela uno studio pubblicato su Science dai ricercatori dell'università di Harvard.
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La censura politica e la repressione delle proteste sociali parte dai social network. In Cina le manifestazioni di protesta vengono soffocate già nella culla dei social media, dove quasi il 40% dei post passa sotto le forche caudine della censura. Lo rivela uno studio pubblicato su Science dai ricercatori dell'università di Harvard. I risultati dimostrano che la censura cinese preferisce chiudere un occhio con i post che criticano il governo, i suoi leader e le sue politiche, rivelandosi invece inflessibile con i commenti che si riferiscono ad azioni collettive, come raduni o proteste di piazza. Questa attività condotta da decine di migliaia di censori cinesi è stata smascherata grazie ad un duplice esperimento condotto online. Per cominciare, i ricercatori di Harvard hanno scaricato i commenti postati sui social media cinesi prima che potessero essere revisionati dai censori, e poi hanno monitorato la loro permanenza sul web ricorrendo ad una rete di computer sparsi in diversi Paesi del mondo. Per mettere alla prova i filtri automatici usati dalla censura, i ricercatori hanno poi deciso di dar vita al primo esperimento su vasta scala sulla censura, creando numerosi account in cento diversi siti social cinesi con cui hanno postato più di mille commenti su eventi di grande attualità. Anche in questo caso, il loro destino è stato monitorato attraverso una rete internazionale di computer. Al termine dello studio, è emerso che il 40% dei commenti era stato vagliato dalla censura: di questi, meno della metà è riuscito a "vedere la luce" con la pubblicazione.
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