venerdì 9 dicembre 2022
In collaborazione con i musei di Madrid e Barcellona è stata ricostruita la decorazione realizzata dall’artista e dai suoi collaboratori nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, distrutta nel '900
La Cappella Herrera ricostruita

La Cappella Herrera ricostruita - Alberto Novelli

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L’ho scritto tante volte, ma mi fa piacere ripetermi: le mostre si dividono in due categorie. Quelle che sono, per così dire, d’intrattenimento e quelle che seguono un vero progetto scientifico. Certo, sono legittime entrambe, ma non si può non notare la differenza fra l’ennesimo van Gogh (senza nulla togliere al grande pittore di Zundert) o alla ennesima esposizione delle straordinarie stampe di Maurits Cornelis Escher (ora con la mostra di Firenze che, per la verità, sarebbe stato meglio allestire a Siena il prossimo anno per il centenario della prima mostra in Italia del genio di Leuwaarden che lì espose nell’agosto del 1923) e un progetto come quello dedicato ad Annibale Carracci e alla Cappella Herrera, adesso riproposta con una spettacolare ricostruzione a grandezza naturale alla piena ammirazione del pubblico (fino al 5 febbraio). Dopo una doverosa tappa a Barcellona, la mostra anima adesso le splendide sale delle Gallerie Nazionali di Arte Antica a Palazzo Barberini. L’inverosimile vicenda degli affreschi attraversa quasi quattro secoli prima di giungere al risultato odierno. Come accade per i progetti importanti, pure questo parte da lontano. Lo spiega con parole semplici e chiare Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, che insieme a Pepe Setre Villalba, direttore del Museu Nacional d’Art de Catalunya, e a Miguel Falmoir Faus, direttore del Museu Nacional del Prado, firma la prefazione del bel catalogo (ricco di contributi importanti come quelli di Patrizia Cavazzini e Davide Benati) edito da Skira. Bisogna infatti sapere che l’idea della mostra era maturata già dieci anni fa quando le istituzioni museali del Prado e di Catalogna, custodi degli affreschi, decisero di restaurarli e di valorizzarli. Realizzati fra il 1604 e il 1605 nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a Piazza Navona. erano stati commissionati ad Annibale Carracci, reduce dai successi della Galleria Farnese, dal ricco banchiere spagnolo Juan Enriquez de Herrera per rendere grazie a san Diego de Alcalà, a cui aveva raccomandato il figlio Diego colpito da una grave malattia, ma guarito miracolosamente per intercessione del santo. Oggi della Cappella Herrera non rimane nulla. La storia della chiesa è complessa ed è puntualmente ricostruita nella mostra di Palazzo Barberini magistralmente curata da Andrés Ubeda de los Cobos, vicedirettore del Museo del Prado, che dedica all’argomento anche un importante saggio in catalogo. Fu papa Alessandro VI Borgia a decidere che il sacello sboccasse su Piazza Navona, raddoppiando la facciata di via della Sapienza (oggi Corso Rinascimento) e diventando una vera e propria chiesa. Da allora il nuovo edificio divenne il punto di riferimento di tutti gli spagnoli a Roma ed è in questo ambito, poco più di un secolo dopo, che va inquadrata la vicenda della Cappella Herrera. La puntuale ricostruzione in mostra permette di entrare in quello spazio affrescato da diciannove pitture (di cui tre perdute) che narrano la storia di san Diego. Fu in tale occasione che Annibale Carracci fissò l’iconografia del santo iberico, da allora seguita da tutti gli altri pittori, che lo rappresentarono come un giovane alto e magro, vestito con il saio dei frati minori. L’impresa, iniziata dal maestro, fu poi portata avanti dagli allievi quali Francesco Albani, Domenichino, Giovanni Lanfranco e Sisto Badalocchio. I restauri (documentati con un video di esemplare chiarezza) hanno permesso di distinguere le diverse mani e verificare che non solo si tratta del più importante ciclo pittorico dedicato a san Diego, ma anche il secondo capolavoro di Carracci dopo l’impresa farnesiana e la sua ultima opera, prima della malattia che lo colpì nel 1605 e lo condusse a morte. Con il declino degli Spagnoli sulla scena internazionale anche la chiesa di San Giacomo andò in decadenza e gli iberici optarono per Santa Maria in Monserrato, dove a tutt’oggi si trova la pala dipinta da Carracci e da Albani che in origine stava sull’altare della Cappella Herrera (presente in mostra). Così, nel 1830 gli affreschi vennero staccati e portati nelle odierne sedi museali. Infine, con il 1936 e la realizzazione di Corso Rinascimento, anche la cappella fu abbattuta. Solo oggi riemerge dalle nebbie del passato questa scheggia luminosa di storia romana, testimonianza di un passato di splendore che, grazie alla mostra, possiamo tutti ammirare.

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