domenica 17 marzo 2024
Arte, musica, letteratura si nutrono da secoli delle Scritture. I capolavori custoditi nelle chiese sono appannaggio dei turisti. Si è perso il seme d’eterno che l’oggi contiene
Il critico Carlo Ossola

Il critico Carlo Ossola - archivio

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L'articolo di Roberto Righetto ha posto seri interrogativi, che muovono dall’analisi dal teologo Pierangelo Sequeri “Molta morale, poca comunità, zero cultura” ell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi [dallo stesso] su Avvenire». Le nette osservazioni dell’uno e dell’altro meritano qualche ulteriore chiosa, che qui stringo in pochi paragrafi.


La società d’oggi è globalizzata, ma manca di paradigmi universali (capaci cioè di far convergere verso obiettivi comuni). È paradossale che chi si professa cattolico, dal greco "universale", rinunci alla visione che lo definisce, enunciata in estrema sintesi da san Paolo: "Non ha più alcuna importanza l’essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna, perché uniti a Gesù Cristo tutti voi siete diventati una cosa sola" (Galati, 3, 28). Quando è universale, la parola cattolica varca i tempi, le epoche, i drammi umani: la Divina Commedia nella bocca e nella memoria di Primo Levi ad Auschwitz, l’infinito Deo gratias di Johannes Ockeghem, canone a 36 voci che risuona ancor oggi ovunque la lode si elevi verso l’eterno. Per rimanere nell’universale, occorre leggere, amare, proferire, cantare, far apprendere quest’annuncio senza frontiere, a cominciare dalla Bibbia.

La Bibbia appunto; osservava Hermann Hesse: "Tutto l’insieme della poesia cristiana sino a Dante, e poi sino ai nostri giorni, è una proiezione e illustrazione del Nuovo Testamento, e se anche tutta la letteratura dovesse sparire, ma rimanesse qualche copia del Nuovo Testamento, noi potremmo ancora, e senza posa, creare letterature nuove e non meno universali, a partire da quel testo" (Magia del libro. Scritti sulla letteratura). Che posto ha ancora la Bibbia nella nostra formazione? Eppure essa ha nutrito per secoli le Lettere, le Arti, la Musica; oggi le chiese, che pure custodiscono capolavori, sono diventate mute per chi vi entra; gli affreschi erano la Biblia pauperum e ora sono il trastullo dei turisti. La Bibbia non solo non è letta, ma è sempre meno insegnata; provate ad informarvi dai pochi docenti ormai rimasti di greco neo-testamentario nella Facoltà pontificie di Roma: il quadro è scoraggiante (e forse irreversibile). Da ciò le traduzioni approssimative nelle lingue volgari, gli errori su passi pure fondamentali. Nessun “buon annuncio” perché non è l’Evangelo (il “buon annuncio” appunto) a scavare la nostra parola.

Diceva Pascal, di fronte all’impossibilità razionale di scegliere se credere o non credere: "Seguite la maniera con la quale [i convertiti] hanno cominciato. È facendo come se credessero, attingendo all’acqua benedetta, facendo dire delle Messe, etc." (Pensées). Ma come si può oggi tentar di fare come se... nelle nostre chiese? Manca del tutto ormai l’acqua benedetta, tacciono i grandi organi, morta la maggior parte delle corali (eppure dove sopravvivono, come a Saint-Étienne du Mont a Parigi, all’Ite missa est c’è gente che entra, e non già esce, per ascoltare le improvvisazioni finali del Maestro d’organo e ricordarsi che la Chiesa è solo e soltanto un millenario inno di grazie e di grazia. "Sine fine dicentes:Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth". La grande preghiera, le cantate di Bach, Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit (Bwv 106), Wir danken dir, Gott, wir danken dir (Bwv 29), O Ewigkeit, du Donnerwort (Bwv 60), etc., non le meditiamo più in chiesa, ma le delibiamo a concerto. Lo spazio del “provar a credere” non fornisce più tempi di prova...

I grandi libri che hanno aiutato ad amare il credere formando l’uomo, come il magnifico L’Amour des lettres et le désir de Dieu di dom Jean Leclercq o Nella vigna del testo: per una etologia della lettura di Ivan Illich, non sono più ristampati in Italia da vent’anni e più (2002 l’uno, 1996 l’altro). E così, per la storia delle Chiese, Oscar Cullmann, Cristo e il tempo: la concezione del tempo e della storia nel cristianesimo primitivo, la cui ultima ristampa risale al 2005. Abbiamo pure rinunciato all’Apocalisse, alla sete di rivelazione del tempo ultimo: là dove i beati - poiché "così passa la figura di questo mondo" (Praeterit figurahuius mundi, I Corinzi) – si ritroveranno nella plenitudine della luce e della gloria: "Quali i beati al novissimo bando / surgeran presti ognun di sua caverna, / la revestita voce alleluiando" (Purgatorio, XXX, 13-15).

Siamo rimasti aderenti alla descrizione dell’oggi, al vegliare sull’oggi, nelle corsie convulse del disagio sociale, anziché precedere l’avvenire curando i semi d’eterno che l’oggi contiene, ma che vanno commisurati con l’universale: c’è molto da studiare di Bibbia e di classici per convocare, con Dante e Michelangelo, il tempo che ci è promesso, "Teste David cum Sibylla".

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