mercoledì 8 gennaio 2020
Il docufilm è stato prodotto da Tv2000 Factory e diretto da Gianni Vukaj che lo ha scritto con Beatrice Bernacchi
L'estate più bella, la disabilità in tutta la sua normalità al mare
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Si dice che Marsiglia sia la spiaggia dei belli e quindi, forse, dei perfetti. I perfetti fuori, quelli senza patologie evidenti, universalmente accettati perché normali.

Ne L’estate più bella, il documentario prodotto da Tv2000 Factory e diretto da Gianni Vukaj che lo ha scritto con Beatrice Bernacchi, il cuore del film è la disabilità in tutta la sua normalità. Una normalità raccontata attraverso il punto di vista di chi non vive solo nel nascondimento come i volontari e le famiglie ma anche di chi ha il coraggio di vivere apertamente tutto ciò che fa. E quindi anche una vacanza.

Come quella che è iniziata, circa cinquanta anni fa, sulla spiaggia di Forte dei Marmi, quando un gruppo di genitori ed esperti ha deciso di rinunciare alle colonie selettive, dove si confinavano le persone con handicap.

«Mai più colonie – racconta uno dei protagonisti – e l’ho capito quando Paolo, un ragazzo disabile, ha detto che immaginava l’inferno come quella colonia a Marina di Pisa, un posto buio dove ci sono persone tristi».

Il film è distribuito dall’emittente Cei in collaborazione con l’agenzia Lo Scrittoio in alcune sale: « L’estate più bella – ha spiegato il regista Vukaj – è uno straordinario racconto di coraggio, battaglie vinte e perse, amori, carezze, albe, tramonti, mamme e figli diversamente abili. Senza nessun filtro e pregiudizio ho provato ad avvicinarmi il più possibile alle anime dei protagonisti, dimenticandomi delle loro sedie a rotelle. Credo profondamente che la disabilità e la diversità siano temi molto importanti dove accendere la luce, oggi più che mai, in una società dove la soglia di concentrazione è di solo otto secondi. Questo documentario è stato pensato e girato con l’obiettivo di sensibilizzare, rallentare per poi fare riflettere sul passato, presente e futuro del mondo della disabilità».

E la riflessione su cosa ci definisce come persone arriva subito sin dai primi protagonisti scelti: ci sono i giovani Valentina e Francesco che seduti su una barca, di spalle al mare, mostrano le loro emozioni rispetto alla vicinanza della macchina da presa. Le loro presenze si alternano a tante altre e piano piano la loro storia, o meglio la loro anima e il loro pensiero, viene svelato.

Si comprende perciò ancora una volta come l’amore relazionale, amicale o parentale sia, in definitiva, la chiave di qualsiasi esistenza. Come in quella delle due madri, un po’ avanzate nell’età che non temono di rivelare le umiliazioni subite o i desideri reconditi. «Non faccia altri figli perché le potrebbero venire peggiori», confessa la madre di Fabrizio nel ricordare le conclusioni affrettate e le ingiurie a-professionali di un medico alla nascita del figlio disabile.

La vera forma di ribellione, come qualcuno dirà nel documentario, è l’amore e l’attenzione verso tutti. «Bisogna cambiare il verbo ausiliare – afferma uno dei villeggianti – ovvero capire ciò che siamo, non ciò che abbiamo. E imparare a convivere e non ad accettare gli altri. Si accettano solo i regali». Con caparbietà, coraggio e forza per affrontare un figlio disabile – dirà una madre – e la solitudine che nasce, a volte, intorno a sé, per l’incapacità di gestire la relazione con il diverso.


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