Il ct della Nazionale Luciano Spalletti, domani atteso alla prova cruciale: gli ottavi di finale degli Europei, Italia-Svizzera - ANSA
A Spallettopoli, che dalle colline toscane si è spostata nella crucca Iserlohn, pare che si respiri aria azzurra e aria chiara. Stringiamoci a coorte e parliamoci chiaro, prendendo proprio a prestito la schiettezza tosca che è nel dna di Lucio da Certaldo. Schiettezza che però non deve mai trascendere nell’arroganza, come quella mostrata da Luciano Spalletti al collega Dario Ricci di Radio 24, il quale nel post Italia-Croazia si era permesso di parlare di un ipotetico “patto tra calciatori e il ct azzurro” nel restyling della formazione che aveva appena eliminato Modric e compagni. Le “masturbazioni mentali” rinfacciate al collega dal ct non sono una risposta civile e tanto meno professionale, e quindi giusto il cartellino giallo estratto dal presidente della Federcalcio Gabriele Gravina che ha chiesto le pubbliche scuse. Lucio si è sinceramente pentito. Caso archiviato. Quindi alla vigilia del dentro fuori di domani, gli ottavi Italia-Svizzera (Rai1, ore 18), che piaccia o no, questa Nazionale, che oggi batta gli elvetici e passi ai quarti o invece subisca il ko-bis della nazionale dello “svizzerissimo” ct Murat Yakin (dopo averci fatto perdere l’accesso al secondo Mondiale di fila, in Qatar) e se ne torni a casa, rimane l’espressione completa del suo selezionatore. Perché anche il “tornare a casa” fa parte dei “comandamenti” che Spalletti ha affisso alle pareti di ogni stanza dei suoi azzurri a Coverciano, il 5° per la precisione: “Ricomposizione (Tornarea casa)”.
Il 1° comandamento: la pressione continua
Il “vangelo calcistico moderno” secondo Lucio si fonda su 6 comandamenti, i 10, da cattolico praticante li lascia alla Chiesa. E nei giorni in cui la macchina del fango si è accesa puntuale, azionata dai 60 milioni di ct italiani, Spalletti che ai suoi predica la «pressione continua che genera sfiducia nell’avversario» si è dovuto difendere dal pressing delle malelingue e della critica feroce che lo vuole più fortunato che bravo. Maldicenze che lo inseguono da sempre, ovunque sia andato, e non è bastato neppure il “miracolo” del terzo scudetto nella città di San Gennaro. Però, appena svapora d’ira funesta, il buon Lucio si rifugia nella preghiera e anche quando passeggia pallido e assorto davanti alla sua panchina alza lo sguardo verso il Cielo. In silenzio, chiude gli occhi e chiede aiuto a quel fratello amato, Marcello, che è volato via a 66 anni, quando il ct era alla guida dell’Inter. Assieme al fischietto per comandare gli allenamenti degli azzurri porta sempre al collo i due rosari, uno da sgranare per la vita di tutti i giorni, l’altro, forse, da tenere buono per certe partite della vita, come questa con l’infida Svizzera.
Controllo del gioco e riaggressione feroce
Nelle tre gare del “girone della morte”, al quale siamo scampati grazie al gol dell’arcangelo Zaccagni, il 2° e 4° comandamento spallettiano, “Controllo del gioco”, che prevede la gestione costante della palla, e la “riaggressione feroce sulla perdita della palla” non sono stati particolarmente osservati dai suoi discepoli. Anzi, si sono viste delle eresie difensive preoccupanti, addirittura dai dioscuri fidati Di Lorenzo e Dimarco che nei rispettivi club, Napoli e Inter, di solito offrono prestazioni da locomotive umane. E anche nella zona centrale Bastoni è piaciuto di più in fase offensiva, un gol segnato all’Albania e il secondo sfiorato un paio di volte con la Croazia. Il nuovo idolo Calafiori uscito con carattere dallo choc dell’autogol con la Spagna, è salito alla Beckenbauer fino all’area croata diventando l’uomo assist per il gol di Zaccagni. Ma quell’ultimo passaggio smarcante per le punte spuntate della Nazionale (Scammacca, Raspadori, Chiesa e Retegui sveglia!) spetterebbe ai metronomi fantasiosi, Barella e ancor più Jorginho, i quali finora hanno galleggiato con mestiere da campioni d’Europa in carica. Ma l’ultima mezz’ora contro la Croazia, per intensità, gestione della palla e una certa ferocia, unita al 3° comandamento “Legati: distanze di squadra, corti, vicini”, ha mostrato un’Italia molto simile a quella manciniana di Euro 2020. Certo nel gruppo manca un po’ di quella leggerezza e d’incoscienza postcovid, e forse anche i discorsi da Ogni maledetta domenica del carismatico e indimenticabile Gianluca Vialli. Al suo posto ora c’è Gigi Buffon al quale Spalletti riconosce «conoscenze acquisite nel nuovo ruolo di team manager». E quando Lucio filosofeggia andando sul campo delle metafore e degli aforismi è da Premio Flaiano. E questo fin dagli inizi ad Empoli quando la famiglia Corsi che l’aveva avuto da calciatore gli diede carta bianca per avviare il laboratorio permanente del talentificio, azzurro anche quello. Allo stadio Carlo Castellani, in qualche magazzino dovrebbero ancora conservare lo striscione vintage che recitava: “Zeman + Scacchi = Spalletti”.
Ordine studioe preparazione
Lucio insegna che per arrivare bisogna aver studiato e fatta la gavetta. E da calciatore, discreto operaio specializzato della difesa, prima di toccare l’apice in un Empoli che non era da Serie A, la gavetta l’aveva fatta nei campionati regionali indossando la maglia del Cuoiopelli, Castelfiorentino ed Entella Bacezza. Campi danteschi, da battaglia di Campaldino, dove l’occhio attento dell’allenatore in campo formava il suo credo di «zonista». Il modulo può cambiare e lo sta dimostrando in questa campagna di Germania 2024, ma i sei dogmi sono intoccabili. E il 6° comandamento, quello che prevede “Ordine, studio e preparazione” è un rimando al 1°, con l’avvertimento che «dopo essersi riorganizzati e ritrovato l’ordine tattico si torna a pressare». Nella mente dei suoi, il pressing totalizzante sta entrando, partita dopo partita, e Spalletti è convinto che un altro passaggio di turno lo avvicinerebbe al senso di piena appartenenza dichiarato alla vigilia degli Europei quando ha detto: «Mi sentirò davvero l’allenatore della Nazionale quando avrò portato avanti l’Italia all’Europeo».
Lucio resta comunque Cincinnato
Prima di lui, il Cincinnato dei mister era Nevio Scala con il quale oggi Spalletti può competere anche in fatto di produzione enoica. Nel casolare di Montaione, l’uomo della panchina parla a querce e vigneti e a “Le galline del Cioni”, che poi è anche il nome del suo gruppo di amici miei monicelliani che si ritrovano a brindare con calici di Bordocampo e Contrasto. Le etichette dei vini della Rimessa Experience, 50 ettari di un sogno nato e cresciuto con il fratello Marcello. Un luogo policromo, da macchiaioli, a cominciare dalla rimessa delle maglie di tutti i club che ha allenato e dei campioni che ha incontrato da avversario in un cammino giunto al trentennale: primo incarico, stagione 1993-’94, nelle giovanili dell’Empoli. E per capire fino in fondo l’uomo Lucio, nello spazio dedicato alle maglie un posto speciale l’ha riservato a Francesco Totti con il quale alla Roma chiuse tra litigi, musi lunghi e una brusca rottura durata fino all’autunno scorso. La pace è avvenuta nel luogo più giusto: il reparto pediatrico del Bambin Gesù. In quell’abbraccio con Totti, Spalletti ha riconquistato tutto il tempo perduto alla ricerca di quella che considera il vero fine del suo mestiere di allenatore, che è quello di vivere e «diventare mezzo per raggiungere la piena felicità. La nostra e quella di chi ci vuole bene».