giovedì 26 ottobre 2023
Viaggio nei luoghi associati al leggendario sovrano della Britannia post-romana che da secoli abita l’immaginario collettivo come la personificazione stessa della regalità medievale
La Tavola Rotonda di Winchester

La Tavola Rotonda di Winchester - WikiCommons

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E se in questo autunno c’è ancora tempo per un viaggio, perché non una sortita nella brumosa Inghilterra? Magari un percorso avventuroso, lungo le strade e fra le pagine, sulle orme di re Artù, per conoscere i luoghi associati a questo leggendario sovranodella Britannia post-romana che da secoli abita l’immaginario collettivo come la personificazione stessa della regalità medievale.

Da Londra, procedendo verso ovest, si può già far visita a Winchester, per ammirare, appeso in fondo alla Great Hall del castello, il simbolo per eccellenza dell’ideale cavalleresco della corte di Artù: la Tavola Rotonda. È della fine del Duecento, gli anni di Edoardo I, grande ammiratore di Artù e promotore di tornei che si rifacevano all’immaginario arturiano. L’immagine dipinta sulla tavola risale invece al regno di Enrico VIII. Artù è circondato dai nomi dei suoi cavalieri, mentre al centro della tavola campeggia la rosa dei Tudor. Alla fine del Medioevo, Artù è già molto più di una leggenda: è soprattutto un forte simbolo politico che legittima l’ambizione dei sovrani desiderosi di presentarsi come suoi eredi.

L’inizio della sua storia ci porta più a ovest, ma strada facendo si può ancora fare una sosta per osservare più da vicino il cerchio di pietre più famoso del regno. Stonehenge non è solitamente associato all’epoca di Artù, e sulla sua origine e funzione ci si interroga da tempo senza approdare a conclusioni certe. Nel Medioevo, invece, non c’erano dubbi: quelle pietre, originarie dell’Africa e care ai giganti per le loro proprietà curative, erano state portate dall’Irlanda da Merlino, prima che Artù nascesse, per costruire nella piana vicino Amesbury un monumento funebre ai Britanni uccisi dagli invasori Sassoni. Di quella Britannia aggredita e resistente Merlino sarebbe diventato il profeta, Artù invece l’eroe.

Proseguiamo dunque verso la Cornovaglia, la terra che diede i natali ad Artù. La leggenda vuole infatti che Uther Pendragon, il re dei Britanni, si fosse invaghito di Igraine, moglie di Gorlois, duca di Cornovaglia. Il duca, comprensibilmente turbato dall’interesse del sovrano per la bella consorte, pensò bene di rinchiuderla nella rocca di Tintagel e di affrontare l’esercito del re. Grazie alle arti di Merlino, Uther assunse le sembianze di Gorlois, riuscì a entrare nella rocca e ingannò Igraine, concependo con lei Artù, mentre il duca moriva in battaglia.

La scultura “Gallos” di Rubin Eynon a Tintagel

La scultura “Gallos” di Rubin Eynon a Tintagel - WikiCommons

Prima ancora che dalle rovine medievali, a Tintagel lo spettacolo è da sempre garantito da un paesaggio mozzafiato, con una penisola che pare azzardare un tuffo nell’oceano, di un azzurro inatteso, e la cornice dell’alta costiera cornica che si offre come il più classico dei dramatic landscape. Ai suoi piedi, al livello del mare, la grotta di Merlino, in cui il poeta laureato Alfred Tennyson – cui si devono le fortune moderne di Tintagel – immaginò che le onde avessero portato Artù neonato fra le braccia del mago. In alto, sull’ampia penisola, fra le rovine del castello duecentesco e quelle più antiche dell’insediamento post-romano (questo sì, di epoca “arturiana”) signoreggia dal 2016 Gallos, un gigante di bronzo spesso identificato esclusivamente con Artù, ma che rappresenta idealmente anche tutti i sovrani dello storico regno di Dumnonia.

Il vicino villaggio – un tempo Trevena, oggi anch’esso Tintagel – inevitabilmente abbonda di richiami arturiani. A iniziare dai pub, dove un menù può essere presentato come “la cosa migliore dopo il Graal”, fino alla sede della loggia massonica, King Arthur’s Great Hall, che fra troni, tavole rotonde e armature non proprio d’epoca, custodisce anche pregevoli vetrate disegnate da Veronica Whall, artista vicina al movimento Arts and Crafts. Nei dintorni la Rocky Valley e le cascate di St Nectan’s Glen offrono uno spettacolo suggestivo, e certo la Cornovaglia è tutta da scoprire fino alla sua punta estrema, Land’s end, fra complessi megalitici, antichi villaggi (Carn Euny e Chysauster su tutti), porti vivaci, spiagge (a quella di St Ives si abbina anche una visita al Tate St Ives, museo di arte contemporanea) e mirabili castelli, come quello di St Michael’s Mount, da raggiungere a piedi con la bassa marea, proprio come la più nota abbazia normanna di Mont Saint-Michel.

Per seguire Artù, però, si deve procedere questa volta nella direzione opposta, verso il Somerset. Cadbury Castle è un nome che può creare aspettative destinate a venire disattese: sulla sommità di questa verde collina dal cuore di calcare non troverete nessun castello, ma seguendo le linee di quelli che erano i suoi fossati e terrapieni si può certo intuire tutto il valore strategico di questo hillfort dell’età del ferro. Eppure per alcuni proprio qui sorgeva un tempo Camelot, la fortezza in cui si riuniva la corte di Artù. Ne era persuaso nel Cinquecento l’antiquario John Leland, che per primo registrò per iscritto alcune tradizioni locali, come sembrano esserlo ancora oggi alcuni abitanti dei dintorni, che immancabilmente raccontano di leggendarie apparizioni di torme di cavalieri nelle notti d’estate.

Nella stessa contea c’è poi Bath, celebre per le sue rovine romane e le fonti termali, ed è forse nelle sue vicinanze che va collocato il Monte Badon, dove Artù avrebbe ottenuto la vittoria più schiacciante sui Sassoni, uccidendo da solo quasi cinquecento nemici. Sarebbe stato quello uno dei suoi giorni più gloriosi, e la sua marcia vittoriosa giunta poi fino al cuore del continente si sarebbe arrestata solo per il tradimento del nipote Mordred. Mortalmente ferito, Artù venne portato sull’isola di Avalon, dalla quale, una volta guarito, tornerà per guidare di nuovo la sua gente.

Già verso la fine del XII secolo Avalon venne identificata con l’abbazia di Glastonbury, sempre nel Somerset, un tempo circondata da acquitrini. Come ricorda ancora oggi una lapide nel mezzo delle romantiche rovine dell’abbazia, i monaci avrebbero rinvenuto nel 1191 nientedimeno che la tomba di Artù e Ginevra, ponendo così fine alle speculazioni su un possibile ritorno del re e al contempo dotando l’abbazia di straordinarie reliquie laiche. I corpi dei sovrani furono poi traslati in una tomba davanti all’altare principale della chiesa, che, come buona parte dell’edificio, non sopravvisse alla Dissoluzione dei monasteri sotto Enrico VIII.

Le rovine dell’abbazia di Glastonbury, identificata dalla tradizione con Avalon

Le rovine dell’abbazia di Glastonbury, identificata dalla tradizione con Avalon - WikiCommons

Il mito però continua ad aleggiare, se è vero che già nel Medioevo la fondazione di Glastonbury viene attribuita a Giuseppe di Arimatea, che per primo avrebbe diffuso la cristianità in Britannia e che sarebbe stato il primo custode del Graal, la cui storia letteraria si intreccia strettamente con quella di Artù e dei suoi cavalieri per ispirare alcuni fra i capolavori indiscussi della letteratura medievale e non solo. Nelle immediate vicinanze, il Glastonbury Tor – una collina terrazzata, sormontata da una torre, che è ciò che rimane della trecentesca chiesa di san Michele – domina superbamente tutta l’area circostante e non poteva non essere oggetto delle teorie più fantasiose, non ultima quella che vi vedrebbe il luogo in cui Giuseppe avrebbe nascosto il Sacro Calice.

Il nostro itinerario potrebbe portarci ancora lontano, nei tanti luoghi che il folklore associa ai protagonisti del ciclo arturiano in Inghilterra, nel Galles di Merlino e persino in Scozia. Idealmente, però, si conclude proprio qui, a Glastonbury. Dove inizio e fine coincidono, il mito cristiano del Graal ispira le pagine più alte della letteratura arturiana e la leggenda non si lascia rinchiudere in una tomba, ma torna a vivere nel tempo eterno dei racconti.

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