giovedì 21 settembre 2023
La difesa strumentale della Cristianità come “cultura” dimentica della fede è una pietra per il cantiere dell’edificio laicista, ma il rifiuto delle “radici cristiane” è negare la storia (e il futuro)
La cattedrale di San Giusto a Trieste

La cattedrale di San Giusto a Trieste - Archivio

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Dal momento che il pensiero cristiano in generale non sta passando un momento di particolare floridezza, è il caso di sottolineare con soddisfazione la tempestività con la quale in contemporanea due importanti editori, la Seuil di Parigi e la Hurst di Londra, pubblicarono nel 2019 il saggio di Olivier Roy L’Europa est-elle chrétienne?: un allarme quanto mai tempestivo, una denunzia ch’è ormai impossibile procrastinare.

In Italia avremmo dovuto già prenderne atto e a questo punto, se un editore italiano decidesse si pubblicare questo saggio, esso nascerebbe già “vecchio”. Circostanza questa tanto più incresciosa in quanto abbiamo la fortuna di avere Olivier Roy come docente nell’Istituto universitario europeo di Firenze.

Abbiamo apprezzato il contributo di Roy al chiarimento dei rapporti tra Chiesa cristiana e storia europea e tra cristianesimo e altre religioni, soprattutto ebraismo e islam. Aiuta a mettere a fuoco la questione di quella che ormai amiamo definire “l’identità europea”.

Esiste, appunto, una qualche forma identitaria definibile tout court come “europea”, posto che il nostro continente è in effetti un “arcipelago delle differenze”? Ma gli arcipelaghi, lo sanno tutti, sono catene montuose in parte sommerse dalle acque, dalle quali affiorano solo le parti più alte, mentre le basi restano nascoste nel profondo: e ciò nonostante esistono, e collegano tra loro territori che in apparenza sono distanti e isolati.

Tutto ciò è ragione sufficiente affinché Roy salga a bordo del batiscafo Storia e, da esperto sommergibilista del passato, ci guidi a indagare su quel che l’oceano del tempo ha ormai coperto: il mondo della cristianità antica e medievale tenuto insieme dalla cultura grecoromana che le traduzioni dal greco dei filosofi musulmani avevano riportato in auge in quell’Occidente che le aveva dimenticate, lo “strappo” della fondazione della modernità – che non significò soltanto scoperta del Nuovo Mondo e il decollo della nuova scienza sperimentale tra Galilei e Newton, ma anche lo scisma nella Chiesa occidentale attraverso il movimento riformatore avviato da Lutero e l’avvìo quindi dell’”effetto-domino” che avrebbe condotto a quel che pudicamente viene definito con la locuzione politically correct di “processo di secolarizzazione”, mentre sarebbe opportuno sottolineare ch’esso fu perciò stesso “processo di laicizzazione”, quindi di progressiva “decristianizzazione” come ben si sarebbe visto tra Riforma e trattati di Westfalia che sancivano il cuius regio eius religio e legittimazione del “principio di tolleranza” che poneva fine a violenze e abusi, ma riduceva al tempo stesso la presenza della fede nelle istituzioni politiche e preludeva alla sua eclisse. E papa Giovanni Paolo II, da buon polacco memore delle travolgenti cariche di cavalleria dei “cavalieri alati “ di Jan Sobietzky, non esitava a definire il “processo di secolarizzazione” come l’inizio della grande apostasìa occidentale.

Con questa apostasìa, oggi che tra essa e il nostro tempo si sono frapposte numerose istanze di revival religioso – e Roy giustamente ricorda che dopo il Settecento agnostico giunsero l’Ottocento romantico e neocristiano e il Novecento che rimise in discussione i valori precedenti – che hanno ulteriormente modificato e complicato il nostro quadro di riferimento.

I tre padri fondatori dell’Europa dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, vale a dire Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, erano ferventi cattolici: ma dopo di loro sono arrivati il Concilio Vaticano II, il Sessantotto, l’insorgere di nuovi movimenti quali la contestazione libertaria e femminista dei valori civici e sociali del cristianesimo da una parte e i vari fondamentalismi religiosi – ovviamente in lotta tra loro – dall’altra.

E siamo così giunti al famoso rifiuto, da parte dei rappresentanti di alcuni Paesi europei, d’inserire un cenno alle “radici cristiane d’Europa” nel preambolo della nuova Costituzione di un’Unione che non è ancora politicamente parlando decollata. Come dire che l’Europa delle cattedrali, delle università nelle quali s’insegnava e si studiava in latino, della rifondazione del diritto romano, l’Europa della Divina Commedia e della Cappella Sistina non è mai esistita, o è stato un incidente privo di significato.

Il che, intendiamoci, non è più grave delle spinte, sostenute da certi movimenti “neocristiani” integralisti, che tendono a sommergere il dato spirituale nelle acque spesso torbide della “cultura” e dell’identità. Quando nei confronti del fondamentalismo islamico si sventolano i vessilli delle salsicce e del vino rosso – osserva ironico Roy – si dovrebbe tener presente che dall’islam i cattolici sono separati semmai dalla transustanziazione eucaristica, non dal consumo della carne suina.

La difesa strumentale della Cristianità come “cultura” dimentica della fede è un’altra pietra portata al cantiere dell’edificio laicista che tende a ridurre le religioni a instrumentum regni o ad espressione di conformismo benpensante nonché a riserva di manifestazioni folkloriche. La battaglia a non dir altro contro il decremento demografico, che è causato anche dal desiderio di mantenere alti livelli di vita economica, non si può condurre e vincere se non chiamando in causa ragioni metafisiche e religiose precise. Il che significa che, di fronte alla marea demografica in aumento negli altri continenti e in altre culture, un Occidente decristianizzato è perciò stesso destinato a soccombere.




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