sabato 5 novembre 2022
Entrati nella nostra vita con l'apparenza di giocattoli, portano la morte dall'alto pilotati a migliaia di chilometri a distanza sfuggendo ai radar. E sono destinati a colonizzare i nostri cieli
Un drone esplosivo sul cielo di Kiev

Un drone esplosivo sul cielo di Kiev - Ansa

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Walter Benjamin aveva comprato un disegno di Paul Klee dal titolo Angelus Novus. Vi è ritratto un angelo maturo rivolto verso chi guarda, le sue ali geometriche pronte a spiccare il volo, lo sguardo attonito, stupito. Per Benjamin rappresentava l’angelo della storia, quello che dando le spalle al futuro contempla il presente e il passato con tutte le distruzioni che questi si portano appresso. È un angelo messianico, ma è anche un angelo devastatore che con il suo volo all’indietro attraversa il tormento e la violenza della storia, sospeso tra destino e provvidenza.

Quest’angelo ricorda uno strano congegno che comincia ad affollare il nostro presente, che sorvola e guarda il nostro mondo e può registrarlo, analizzarlo, mapparlo e distruggerlo. Si chiama, con una parola di origine germanica, drohnen, che sta sia per il maschio dell’ape, il fuco, sia per il rumore emesso da alcuni esseri volanti, il ronzio.

I droni sono entrati nella nostra vita con l’apparenza di giocattoli. Come molti giocattoli derivano da brevetti militari. Il loro compito di vedere il mondo dall’alto corrisponde alla necessità di sapere cosa e dove, il nascosto del mondo e della geografia. Quando la tecnologia lo ha permesso, accanto a una lente montata sul drone si sono aggiunti altri accessori. Se capace di sostenere parecchi chili può diventare un messaggero di morte, dare il colpo di grazia a guerriglieri afghani, capi palestinesi, intere famiglie riunite in matrimonio in una valle irachena.

Viene pilotato “da casa”, un tecnico addetto, a migliaia di chilometri di distanza, può guidarlo a polverizzare qualunque individuo, dopo averlo inseguito per ore, a volte per giorni. Come un angelo sterminatore, viene portato a destinazione da una volontà distante, da manopole e visori nascosti in lontani laboratori militari. A volte chi ha il compito di guidarli è stupito dalla distanza tra sé e la morte inviata, a volte si sente l’esecutore di una volontà più grande. Spesso, dopo qualche anno, chi fa il mestiere di guidare l’angelo della morte viene mandato in riposo perché il suo è un compito delicato, deve sobbarcarsi il peso di molti destini da spezzare.

Obama ne è stato il primo grande utilizzatore, un risparmio su qualunque operazione militare che risparmia possibili proprie vittime sul terreno anche se la possibilità di “sbavature” è sempre presente, essendo il target a volte confuso con i soliti civili che si mettono in mezzo e vengono scambiati per nemici.

È la risposta tecnologica a un dilemma filosofico che dal ’700 in poi assilla i pensatori europei: è possibile essere sensibili a un dolore distante? Piangere in Germania per i morti del terremoto di Lisbona, o avere il dilemma morale di uccidere a distanza un mandarino in Cina? Il drone risponde alleviando sensi di colpa, rimorsi e rincrescimenti.

In parallelo con la sua storia militare, il drone ha cominciato ad affollare la nostra vita quotidiana, una presenza in pace e in guerra. Si sono aperti corsi per imparare a usarlo, dronista è un mestiere al pari all’impiantista o l’idraulico. Alcuni settori come quello dei servizi fotografici o del video non possono più farne a meno. È normale sentirne il ronzio, drohnen, sopra la testa e poi cercare chi lo sta pilotando, magari direttamente dal telefono portatile. Appare come presenza costante nei matrimoni, per rendere la cerimonia “a volo d’uccello” che ne esalti il carattere unico e irripetibile.

Stanno colonizzando lo spazio sopra di noi, non come lontani satelliti, come una nuova specie di uccelli, al librarsi dei piccioni o dei gabbiani si è sostituito il vibrare delle loro eliche. In Cina cominciarono a sostituire i fuochi d’artificio. A migliaia si levano per segnare nel cielo notturno di Shenzhen o di Shanghai i caratteri augurali per il nuovo anno, simulare le costellazioni o esplodere in una cascata di luci.

Nulla però li ha resi così familiari e indispensabili come la guerra in Ucraina. Ogni giorno veniamo edotti da generali, tecnici, esperti militari dei nuovi modelli, turchi, iraniani, coreani, cinesi. Stanno sostituendo l’aviazione e nello stesso tempo la contraerea. Sono strumenti dilettanti di morte, montabili, gestibili con poco addestramento. Vi piombano addosso senza essere rilevati da radar, al pari degli uccelli di Hitchcock, la sorpresa li rende efficaci e micidiali.

Costituivano un vantaggio per gli ucraini nella prima parte della guerra, oggi sembra che i russi ne abbiano scoperto il ruolo fondamentale grazie agli iraniani. Sono una nuova versione della guerriglia, rendono atroce il gioco della guerra e fanno vittime con sbavature, come sempre accade. Colpiscono carri armati, ponti, infrastrutture e ovviamente civili, in gran quantità.

Ci stiamo abituando, sono i nuovi angeli dell’apocalisse, sono quelli che Luis Buñuel avrebbe chiamato “angeli sterminatori”. Rendono il nostro presente sempre più precario, il nostro cielo qualcosa a cui non possiamo più rivolgere lo sguardo con fiducia. A parte le sorti della guerra, influiranno sulla nostra vita di tutti i giorni più di quanto possiamo immaginare, tra il monopolio di Jeff Bezos e le trovate di Elon Musk, sicuramente non miglioreranno la nostra vita. Qualcuno dovrebbe proteggerci dalla loro minaccia. Se ne nessuno se ne vorrà occupare dovremo affidarci ai nostri angeli custodi.

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