mercoledì 5 dicembre 2012
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Leggerli. Leggerli tutti. Su ciascuno maturare un giudizio. E saperne esprimere un parere tra amici, in un salotto, in ufficio, al bar. Difficile? Impossibile? Temerario? Ci pensa Renato de Rosa, che in 129 pagine fulminanti (La variante del pollo, Mursia, 12 euro) ficca nel tritacarne 32 autori, affidando a tutti lo stesso, profondissimo tema: «Perché il pollo ha attraversato la strada?». Il suo scopo è pratico e il sottotitolo lo palesa senza sottintesi: «Come fare bella figura senza aver mai letto un libro». L’effetto? È come se un alieno, per informarsi sui politici italiani del primo dopoguerra, visionasse 32 imitazioni di Alighiero Noschese. Ecco, questo è il libro di de Rosa, cinquantacinquenne matematico, autore di giochi, esperto di politiche comunitarie, residente a Carrara ma nativo del Chianti. Un maledetto toscano, insomma. Il suo è uno scherzo. Un divertissement. E molto di più. Certe «verità» sono talmente taciute e contromano che si possono soltanto sussurrare sorridendo. E queste sono appunto delle affettuose prese in giro, talmente raffinate che nessuno – tra i morti e tra i vivi coinvolti nella pollo-story – potrà lamentarsene: tutto potranno dire, i trafitti, tranne che de Rosa non li abbia letti, digeriti e metabolizzati, per restituirceli come nuovi. Gli unici a lagnarsi potrebbero essere gli esclusi dal gioco, forse. In breve: per ogni autore, de Rosa offre una sintesi critica di quattro righe; «l’osservazione per fare bella figura», già cotta e mangiata, di tre righe; e poche pagine su come l’autore avrebbe elaborato il tema del pollo. Il mimetismo è perfetto, come si può notare già dagli incipit. Certi autori sono facili, ad esempio Fabio Volo: «Ho capito che nella mia vita di pollo per avere quello che mi spetta il primo passo lo devo fare io. Non sarà la strada a venire verso di me, sono io che devo andare verso di lei. Punto». Talmente "voliana" da poter finire su Facebook firmata da lui. Altri sono più elaborati, Dario Fo ad esempio: «Quel che racuntà del polo che g’avea fama, una fama de boia, el g’ha dito la galina, che la parlava anca lé el grammelot: "Di là dal vialun gh’è un pentulun pien de bechime! Parché de là gh’è sta la rivolussiun, el gh’è no paroni ma el comandan i nimali!"». Va da sé che il pollo attraversa, si rimpinza di becchime, il contadino lo acchiappa, ci fa il brodo, ma arrivano il vescovo, il cardinale e l’imperatore... insomma, la vicenda scivola sui binari (canori) ben noti. E i giallisti? Per Faletti basta una riga: «Il buio e il pollaio hanno lo stesso colore». Lucarelli bisogna leggerlo immaginando la sua cadenza di quando è in tv: «Una brutta storia quella del pollo, davvero una brutta storia». Umberto Eco, invece, viene il sospetto che, giocando dentro il gioco, il suo racconto l’abbia scritto per davvero lui: «Il Signore della fattoria, Guidobaldo Massetani, mi conceda la grazia di essere testimone trasparente degli accadimenti che ebbero luogo nella cascina di cui è bene si taccia ormai anche il nome...», eccetera.

Non poteva mancare un classico come Edmondo De Amicis, il cui incedere sarebbe inimitabile se de Rosa non l’avesse qui imitato: «In una bella mattinata del mese di giugno 1979, durante l’industrializzazione dell’alta Val Corbella, pochi giorni prima che le ruspe radessero al suolo la Cascina Strefola, un piccolo drappello di animali da cortile andava di lento passo, lungo il margine della statale, verso la vicina Fattoria Gargozza, dove avrebbero trovato dimora». Il pollo deamicisiano è, va da sé, un baldo galletto. Salgari propone Cascina Mompracem e i suoi galletti pilotano carriole («basse di scafo, leggerissime, snelle») come saettanti prahos, nel mezzo del fortunale, all’arrembaggio d’uno scalcinato Ape dove un operaio immigrato clandestino lotta strenuamente ma, sul punto di soccombere ai pirati – «membruti livornesi, padovani d’alta statura, mugellesi dai crani pelati e lucenti come avorio» – tuona una voce di pollo, «le ali incrociate sul petto, immobile fra gli elementi scatenati, con gli occhi che sfolgoravano come carboni accesi»: «Ferma! Quell’operaio è un prode!». Ma perché il pollo? Perché come spesso accade con i piccoli libri che fanno sorridere, questo è un libro serissimo, una sottile metafora sul conformismo d’ogni colore e fede e ideologia, un invito al pensiero libero e creativo. Perché infine, come avverte de Rosa sulla sua ultima, fatal riga, «pollo è chi il pollo fa».

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