martedì 19 dicembre 2023
Nei suoi diari denunciò uno Stato «il cui passato, presente e futuro si reggono sul sangue, la menzogna e l’insensibilità e di fronte al cui volto da incubo l’uomo non è nulla»
Eduard Samuilovič Kuznecov

Eduard Samuilovič Kuznecov - archivio

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Al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, quello di Eduard Samuilovič Kuznecov non è un nome famoso. E tuttavia questo scrittore e giornalista occupa un posto particolare nella galassia del dissenso dell’ex Unione Sovietica. Per varie ragioni, a cominciare dalla sua travagliata, avventurosa biografia. Nato nel 1939, studente di filosofia all’università di Mosca, è stato tra i primi animatori delle coraggiose “riunioni poetiche” in piazza Majakovskij. Arrestato nel 1961 dal Kgb, viene condannato a sette anni di prigionia, con l’accusa di “propaganda antisovietica”.

Una volta liberato, chiede - inutilmente - di poter emigrare in Israele. Nel 1970 finisce a processo per aver tentato, insieme a un gruppo di ebrei russi dissidenti, di dirottare un aereo verso Israele. Condannato alla pena di morte, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, la pena gli verrà commutata in quindici anni di reclusione. Il campo di lavoro a regime speciale cui viene destinato si trova in Mordovia, una zona tristemente famosa a motivo delle sue colonie penali, tra le più grandi e antiche del sistema dei gulag sovietici.

Nel 1979 Kuznecov viene rilasciato e finalmente raggiunge Israele, dove attualmente risiede. Dal 1990 al 1999 è stato redattore del giornale israeliano “Vesti” (Notizie), il più famoso quotidiano in lingua russa al di fuori della Russia. Quel che ha portato Kuznecov alla notorietà internazionale sono i suoi diari dal carcere, usciti clandestinamente dalla Russia e pubblicati in Occidente, per la prima volta – in edizione mondiale – da Longanesi nel 1973, col titolo Senza di me. Un libro che anticipa di pochi mesi Arcipelago Gulag, il capolavoro di Aleksandr Solženicyn, che squarcerà definitivamente il velo di menzogna sulla realtà del sistema repressivo imposto da Stalin.

Ora quel testo di Kuznecov viene ripubblicato da Guerini e associati, col titolo Parole trafugate, nella collana “Narrare la memoria” (pagine 200, euro 19,50), che recupera opere inedite della letteratura dell’Europa dell’Est, finalmente disponibili dopo la perestrojka. Nell’introduzione al volume Marcello Flores così sintetizza il valore dell’opera: «ll diario di Kuznecov è una testimonianza tra le più dirette e intense della vita nell’universo concentrazionario dell’Unione Sovietica di Brežnev, della logica del regime carcerario e della quotidiana esistenza dei detenuti». Lo storico sottolinea, inoltre, come sia particolarmente interessante rileggere oggi pagine del genere, «in una fase storica che vede numerosi nuovi “dissidenti” della Russia di Putin portati in tribunale e condannati per aver espresso la loro opposizione alla politica di aggressione nei confronti dell’Ucraina».

Con vent’anni di anticipo sul crollo dell’Urss, in Parole trafugate Kuznecov - finito, suo malgrado, «nel cuore stesso del meccanismo statale, il lager, dove i principi su cui posa lo Stato appaiono nel loro aspetto puro» - denuncia uno Stato «il cui passato, presente e futuro si reggono sul sangue, la menzogna e l’insensibilità e di fronte al cui volto da incubo l’uomo non è nulla». Parole trafugate è un testo che esige impegno, ma vale la fatica, perché spalanca al lettore le drammatiche condizioni in cui Kuznecov e tantissimi come lui hanno vissuto (e ancora oggi vivono, nella Russia del nuovo Zar): « La prigione è una scuola di amore per la libertà. Loro non si accontentato che tu ceda una sola volta, esigono che tu lo faccia ancora, fino quando dentro di te non rimane più nulla di tuo».

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