mercoledì 7 luglio 2010
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Ferenc Körmendi è nato nel 1900, all’inizio di quello che, molto più tardi, Nicola Tranfaglia ha definito "il secolo lungo", senza dubbio uno dei periodi più esaltanti, ma anche più terribili della storia dell’umanità, in cui enormi conquiste si sono affiancate a una violenza mai conosciuta prima: «Orrore, orrore, orrore!» (Macbeth). I ragazzi nati attorno all’anno 1900 avrebbero dovuto costituire La generazione felice, per dirla con il titolo di uno dei romanzi più conosciuti di Körmendi. In realtà, le loro vite furono segnate indelebilmente da eventi tragici , ma anche da grandi invenzioni e da rivoluzionarie scoperte scientifiche. Tutti questi avvenimenti produssero un mutamento sostanziale nell’esistenza non solo umana, ma di ogni specie vivente sulla Terra. Già durante gli anni del liceo, Körmendi nutriva un profondo interesse per la letteratura e per i movimenti artistici del suo tempo. Dopo il diploma studiò giurisprudenza e, contemporaneamente, storia, estetica e musicologia. A soli vent’anni era già collaboratore di due riviste: scriveva di letteratura nel giornale di destra "Magyarország" e di musica nel giornale di sinistra "Hét". Come ogni borghese democratico e liberale, detestava sia il "terrore bianco" dei governi filo-fascisti, sia la prospettiva di una dittatura del proletariato. Nel romanzo Un’avventura a Budapest si possono facilmente ravvisare gli echi di questa visione del mondo quasi apolitica. Si può affermare che la vigliaccheria e la violenza, caratteristiche di alcuni voltagabbana dell’epoca, sono rappresentate da Körmendi con una sorta di disgusto, specie nei riguardi della nuova destra antisemita che inscenava veri atti di terrore. In seguito, quella violenza si concentrò e trovò libero sfogo nel nazismo e nel fascismo. Nel 1939, lo scrittore abbandonò l’Ungheria per rifugiarsi in Inghilterra, dove partecipò regolarmente alle trasmissioni antifasciste di Radio Londra diffuse dalla Bbc. Più tardi, visse in Brasile e, come molti altri intellettuali europei di quei tempi nefasti, si stabilì negli Stati Uniti. Ma facciamo un passo indietro, fino ai primi tempi angusti e agitati successivi alla Pace di Versailles. Proprio a quel periodo, infatti, risale la nascita di Un’avventura a Budapest, che poco dopo la pubblicazione venne tradotto in ben ventidue lingue, compreso l’italiano. Per il nostro paese, i diritti di pubblicazione furono acquisiti da Valentino Bompiani, un editore dotato di un fiuto impareggiabile. Quando Körmendi divenne uno scrittore di fama mondiale aveva trentadue anni ed era già stato caporedattore della rivista "Hét". Pur senza chiedersi il significato preciso della parola, oggi possiamo affermare che il suo "successo" non fu assolutamente facile e scontato. I critici letterari ungheresi lo definirono un autore di ponyva, cioè di libri da vendere al mercato. Che cosa giustificava una tale acrimonia contro Körmendi? Diverse personalità della letteratura europea vedevano in lui un semplice appagatore dei peggiori gusti del lettore, un abile mestierante che produceva storie leggere e sentimentali, ammantate di un superficiale alone di profondità. Improvvisamente, adesso scopriamo che le cose non stavano affatto così. In Un’avventura a Budapest, Körmendi offre un’interpretazione cupa, tragica e soltanto parzialmente edulcorata dell’epoca in cui l’opera fu concepita. Innanzitutto va detto che diffondere – "in diretta" – un simile ritratto di un’epoca di terrore ha richiesto indubbiamente del coraggio. All’epoca, in Ungheria gli antisemiti e l’estrema destra godevano di una popolarità sempre maggiore, e questo romanzo condanna entrambi. Gli atti di proditoria violenza di vari sedicenti "patrioti" sono deprecati in egual maniera. I tre mesi di governo comunista sotto la guida di Béla Kun sono dipinti con tinte affatto seducenti. E comunque, toccare in un romanzo quegli argomenti, anziché delle romanticherie aristocratiche, significava già tanto. A questo vanno aggiunti un’abilità nel mescolare i toni e una preparazione così astuta degli effetti narrativi da restare sbalorditi. Riguardo alla fortuna in patria dello scrittore, va detto che dopo il decennale esilio volontario ritornò a Budapest e, nel 1948, partecipò alla Giornata del Libro con un volume intitolato Così cominciò, in cui descrive l’avvento del fascismo e del nazismo nel suo amato Paese. Anche allora la sua opera ebbe un’accoglienza negativa, sebbene per motivi opposti a quelli d’anteguerra: in quegli anni, Körmendi veniva criticato per il suo stile borghese, che adombrava chiaramente i conflitti della società capitalistica, ma non parlava della lotta di classe e non introduceva nelle sue opere personaggi appartenenti al proletariato. In realtà, questi abbondavano nei suoi libri, ma non corrispondevano al modello imposto dal realismo socialista, o dallo zdanovismo. Sembra che siano passati secoli da quel tempo: era l’epoca in cui molti scrittori dovettero fare "autocritica" e riscrivere i propri libri; altri, invece, si suicidarono (fu il caso di Fadeev). Körmendi poteva dirsi lontano da tutto ciò ma, secondo la critica stalinista, anche Dostoevskij era un reprobo, e infatti i suoi libri erano banditi dalle biblioteche della Russia e di tutti i Paesi satelliti, compresa l’Ungheria. Dopo il fallito tentativo di riavvicinamento al suo Paese natale, quell’anno stesso Körmendi riprese la strada dell’esilio – e, questa volta, per sempre. Morì negli Stati Uniti nel 1972.
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