mercoledì 16 febbraio 2022
Il filosofo Meazza analizza il pensiero del vescovo tedesco: «L’ontologia non può davvero rinnovarsi se resta estranea all’evento della Rivelazione»
Klaus Hemmerle (1929-1994)

Klaus Hemmerle (1929-1994) - archivio

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Pubblichiamo un estratto del saggio di Carmelo Meazza dal volume di Klaus Hemmerle Tesi per una ontologia trinitaria (Città Nuova, pagine 264, euro 24,00). Si tratta del secondo volume del 'Dizionario dinamico di ontologia trinitaria', collana diretta da Piero Coda. Lo stesso Coda è autore di uno dei tre saggi che accompagnano il testo, insieme a quelli di Meazza e di Massimo Donà. L’opera, già pubblicata da Città Nuova nel 1986, viene ora riproposta in una nuova traduzione, a cura di Eduard Prenga e Maria Benedetta Curi, e con l’originale tedesco a fronte. Hemmerle (1929-1994) - filosofo, teologo e vescovo di Aquisgrana, considerato tra i cofondatori del movimento dei Focolari - in questo scritto dialoga con la teologia trinitaria di Hans Urs von Balthasar.

Il centro e il cuore delle tesi di Klaus Hemmerle si può riassume pienamente in questo passaggio d’esordio della seconda parte: «Una nuova ontologia è richiesta: un’ontologia che faccia leva sul proprium della realtà cristiana». Quello di cui c’è bisogno dunque non è una semplice ontologia. Non si tratta di riprendere o rinnovare l’ontologia della modernità, quell’ontologia che ha in Suarez il punto di slancio metafisico, ma neppure riprendere e ribadire una certa domanda dell’essere e orientare la filosofia verso la cura del doppio genitivo che la domanda dell’essere porrebbe. L’ontologia heideggeriana del Novecento introduce la nozione di evento nella questione dell’essere, essa è lontanissima dall’ontologia del moderno e tuttavia non soddisfa secondo Hemmerle il bisogno di una nuova ontologia. Una ontologia non sarà davvero rinnovata se resta estranea allo specifico cristiano. L’ontologia non si rinnova, non si lascia pensare alla luce dell’evento, se questo evento non è restituito dalla rivelazione cristiana. Questa nuova ontologia dovrà dunque incontrare una teologia e una teologia a sua volta dovrà rinnovarsi in questa ontologia. Questo incontro, tuttavia, non sarà tale, non sarà un reciproco innovarsi, se il suo luogo o il suo campo di insorgenza non trova l’evento cristiano. Forse Hemmerle accetterebbe questa piccola parafrasi: una nuova ontologia non accade alla filosofia se l’esperienza non si imbatte o, sarebbe meglio dire, non si intensifica in una certa manifestazione d’evento, se il manifestarsi di un evento non rivela qualcosa di essenziale dell’esperienza ontica. Manifestando qualcosa di essenziale dell’esperienza ontica rivela qualcosa di essenziale del divino e, viceversa, manifestando qualcosa di essenziale del divino rivela l’essenziale dell’esperienza ontica. Il cristianesimo è un’esperienza di rivelazione, essa, tuttavia, non sarebbe tale se tutte le modalità di rivelazio- ne che possono accadere nell’orizzonte storico non trovassero verità e conferma. D’altra parte lo specifico cristiano smarrirebbe qualcosa di essenziale della sua tipicità e specificità se le rivelazioni non fossero, in vario modo, luoghi intensivi in cui le ontologie si rinnovano. Il cristianesimo avrebbe questa singolarità tra gli eventi rivelativi: in esso tutti gli eventi rivelativi della condizione storico-umana mostrano la loro potenza rivelativa in ambito ontologico. Come se il cristianesimo offrisse loro il paradigma fenomenale della manifestatività di un evento di rivelazione. Il rinnovamento ontologico, un nuovo pensiero dell’essere, accade dunque nel corpo di un evento. L’essere non può darsi come Ereignis se questo evento non si configura come fede cristiana cioè come fede in Gesù Cristo. L’esperienza di fede non è estranea a una ontologia. Per la tradizione più influente della filosofia questo richiamo risulta uno scandalo poiché si ritiene che il pensiero trovi slancio e forza proprio quando si emancipa dal campo della fede. Il giovanissimo Heidegger nel testo di abilitazione, nella sua prefazione, doveva precisare che la filosofia si inaugura con il problema dell’essere e il problema dell’essere si imporrebbe proprio quando si abbandona l’esperienza di fede. Non c’è filosofia se l’orizzonte dell’essere non prende il posto della dimensione di fede. Qui Hemmerle invita a compiere un percorso del tutto differente: un essere come orizzonte dell’ente non è in grado di rinnovare o radicalizzare una ontologia, non è in grado di pensare radicalmente l’essere dell’ente, non è in grado di pensare l’evento in un cui l’ente si dà nel suo essere. La filosofia quindi è chiamata a convertire il problema dell’essere con cui effettivamente prende inizio, nel richiamo di un’esperienza di fede. Come se ci fossero due modalità di richiamo in cui la filosofia deve saper oscillare e trapassare: l’essere che richiama nel suo divenire problema e il richiamo di una fede di cui il problema conserva una qualche memoria e coltiva una qualche speranza.

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