venerdì 8 aprile 2011
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Nel 1985, ad Amburgo, in quella che viene definita una "simultanea", ho giocato contro trentadue diversi software di scacchi allo stesso tempo. Ho giocato per più di cinque ore. I quattro principali produttori di questi software avevano schierato i loro modelli più sofisticati, inclusi gli otto della Saitek che portavano il mio nome. Indicativo dello stadio evolutivo di quelle macchine è il fatto che la mia vittoria di 32 a 0 non stupì nessuno, nonostante non fosse mancato un momento critico: a un certo punto, infatti, mi resi conto di essere in difficoltà contro uno dei modelli "Kasparov". Se quella macchina avesse vinto o avesse guadagnato un pareggio, la gente avrebbe pensato che avevo falsato la partita per fare pubblicità all’azienda; ho quindi dovuto intensificare gli sforzi. Alla fine ho trovato un modo per ingannare la macchina "con un sacrificio che avrebbe dovuto rifiutare". Quelli erano i bei vecchi tempi dell’uomo contro gli scacchi-macchina. Undici anni dopo ho sconfitto a stento il supercomputer Deep Blue. Più in là, nel 1997, la Ibm ha raddoppiato la potenza del processore del Deep Blue, così ho perso la partita di ritorno, finendo sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Il risultato è stato accolto con stupore e cordoglio da coloro che lo hanno interpretato come il simbolo della sottomissione del genere umano all’onnipotente computer. (The Brain’s Last Stand titolava Newsweek). Altri hanno scrollato le spalle, sorpresi anche solo che un uomo potesse ancora pensare di competere contro un enorme programma di calcolo. (...) Sono state molte le conseguenze impreviste della diffusione dei potenti software di scacchi. I bambini amano i computer e non sorprende che lo stesso valga per la combinazione scacchi e computer. Con la creazione di software super potenti è ormai possibile per un giovane principiante avere dentro casa un avversario ai massimi livelli, invece di un insegnante professionista sin dalla tenera età. Paesi con una limitata tradizione negli scacchi possono ora dare i natali a piccoli prodigi. Io stesso sono l’insegnante di uno di questi giovani, il diciannovenne Magnus Carlse, nato in Norvegia, dove gli scacchi sono poco giocati. La macchina non si cura dello stile né di centinaia di anni di teoria consolidata. Calcola il valore dei pezzi, analizza qualche miliardo di mosse e poi lo calcola di nuovo. Un computer è libero dai pregiudizi e dalla dottrina e ciò ha contribuito a creare giocatori che sono liberi dal dogma quasi quanto le macchine con le quali si allenano. Nonostante siano ancora necessarie grandi capacità logiche e intuitive per giocare bene, gli umani giocano sempre più come i computer. Avere a portata di clic un database di milioni di schemi di gioco fa sì che i giocatori migliori siano sempre più giovani. Apprendere centinaia di schemi essenziali e mosse di apertura richiedeva molti anni, un processo che Malcolm Gladwell ha esposto nel suo libro Outliers con la teoria delle «10.000 ore per diventare un esperto». Gli adolescenti di oggi possono accelerare questo processo collegandosi a un archivio digitale di scacchi e trarre pieno profitto dalla loro mente fresca. Prima dell’era dei pc i Grandi Maestri adolescenti erano rari e quasi sempre destinati a partecipare al campionato del mondo. Il record di Bobby Fischer, diventato Grande Maestro nel 1958 all’età di quindici anni, è stato battuto solo nel 1991. Da allora quel record è stato battuto venti volte: il detentore attuale, l’ucraino Sergej Karjakin, ha conquistato il titolo più prestigioso nel 2002, all’età assurda di dodici anni. Ora ventenne, Karjakin è tra i migliori del mondo, ma come molti dei bambini prodigio di oggi non è Fischer, che spiccava, testa e spalle, sui suoi coetanei e poi su tutti giocatori del mondo. (...) Forse gli scacchi non sono un gioco adatto ai nostri tempi. Il poker è ormai ovunque, con dilettanti che sognano di vincere milioni e ritrovarsi in tv per un gioco la cui complessità è riassumibile su un solo pezzo di carta. Ma mentre gli scacchi sono basati al 100% sull’informazione (entrambi i giocatori sono consapevoli di tutti i dati in ogni momento della partita) e influenzati dalla capacità di calcolo, il poker ha carte nascoste e una posta variabile, che rendono il caso, il bluff e il calcolo dei rischi, punti critici per il gioco. Questi aspetti del poker possono sembrare relativi solo alla psicologia umana e quindi non vulnerabili alle incursioni di un computer. Una macchina può banalmente calcolare le probabilità gli esiti di ogni mano, ma che succede quando un avversario con probabilità scarse punta forte? Eppure i computer stanno arrivando anche qui. Johnatan Schaeffer, il programmatore di software per la dama, si è buttato sul poker, e i suoi giocatori digitali giocano anche meglio di uomini molto capaci, con ricadute fin troppo ovvie sui siti di scommesse online. Forse il trend odierno di molti professionisti degli scacchi, che si dedicano al remunerativo passatempo del poker non è del tutto negativo. Forse non è tardi perché gli umani imparino di nuovo cosa vuol dire correre rischi per mantenere lo stile di vita di cui godiamo. E se serve un supercomputer che gioca a poker per ricordarci che non possiamo goderci la ricompensa senza correre rischi, ben venga. (traduzione di Isabella Rinaldi) © The New York Review of Books © per l’Italia Lettera Internazionale
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