mercoledì 10 giugno 2020
Arriva in Italia il romanzo in cui la scrittrice indiana prende spunto dalla sua storia personale di sopraffazioni domestiche, condizione molto comune nel suo Paese
Meena Kandasamy

Meena Kandasamy - WikiCommons

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Secondo dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a partire da un report di Axios, il lockdown ha triplicato i casi di violenza domestica rispetto allo scorso anno. A supporto di questi dati corrispondono i numeri di diverse associazioni, che in questi mesi hanno registrato un significativo incremento di episodi. Dalle statistiche di Telefono rosa e Donne in Rete contro la violenza, la crescita di chiamate rispetto allo stesso periodo del 2019 è stata esponenziale. Numeri che preoccupano e mostrano che è sempre più necessario rafforzare i servizi di supporto e rompere il silenzio, come ha fatto l’attivista, poetessa e scrittrice indiana Meena Kandasamy in Ogni volta che ti picchio (edizioni e/o, pagine 240, euro 17), romanzo in cui racconta la storia vera del suo primo matrimonio con un uomo da cui ha subito violenze fisiche e psicologiche.

Come è nata l’idea di scrivere di questi temi?

Quando ho deciso di diventare una scrittrice volevo rompere gli schemi, scrivere romanzi politici, di raduni e manifestazioni, scioperi e massacri, perché è lì che alle donne non è permesso entrare, poi, mentre lavoravo al mio primo romanzo (politico, storico), mi sono sposata e ho sperimentato in prima persona cosa significasse violenza coniugale. Ciò che viene visto come problema di una donna è in realtà un problema di società, politico, storico. Non andremo avanti senza occuparcene. Perciò ho sentito l’urgenza di scriverne.

La scrittura è stata terapeutica?

La terapia è terapia. Scrivere è scrivere. Non trovo la scrittura (su nulla) terapeutica. A volte sei seduto con il tuo trauma per anni e anni e cerchi di trovare le parole. Trovo che scrivere sia un atto di precisione. Devi sentirti e agire come un cecchino, non perdere il tuo obiettivo, non essere visto, agire con forza nei pochi secondi che ti sono concessi. Come il cecchino, fai anni e anni di pratica. Un sentire emotivo, un dispiacersi per sé stessi o un sentire che sto per guarire non è ciò che mi aspetto dalla scrittura. Sono più forte di così. È strano parlare di scrittura, perché è la parte più personale di me, ma è anche quella che più mi distacca da me stessa, in modo che possa esistere nel mondo da sola, ed è quindi, anche adeguatamente forte.

La protagonista del libro è una scrittrice. Quanto è importante che lo sia? Si potrebbe dire che il libro sia anche una riflessione sulla scrittura?

Il fatto che la protagonista sia una scrittrice penso sia la chiave del libro. A livello sociale, gli scrittori sono visti come rinnegati, ribelli, persone fuori dai con- fini della convenzione. Quindi, una scrittrice è sempre considerata una cattiva moglie. Essere una scrittrice attira sospetto e gelosia. Allo stesso tempo nel libro la scrittrice non si occupa solo di violenza fisica, ma deve sopportare anche la violenza della cancellazione. Sta letteralmente vedendo il lavoro di una vita cancellato davanti ai suoi stessi occhi. La scrittura delle donne è qualcosa che il patriarcato non può digerire perché racchiude la speranza di raccontare una via d’uscita da una situazione difficile.

Che impatto ha avuto il suo libro sulle persone?

Sono passati quattro anni da quando è stato pubblicato in India, e continuo a ricevere mail da donne che sono uscite da matrimoni violenti dopo anni e anni. Ricevo posta da figli adulti di matrimoni violenti i quali non capivano che stesse accadendo. Penso sia stato un intervento molto femminista in un Paese come l’India dove la violenza domestica è molto diffusa. Tante donne mi scrivono che ho raccontato le storie della loro vita con le mie parole.

Com’è il grado di consapevolezza tra le donne rispetto alla violenza coniugale?

Penso che la violenza coniugale sia spesso vista come un problema del terzo mondo, dei poveri, ma credo che sia molto più universale e insidioso di quanto possa suggerire uno stereotipo. Più di due donne muoiono ogni settimana nel Regno Unito per mano dei loro mariti o fidanzati. Penso che la consapevolezza delle donne non sia mai stata il problema. Il problema è più ampio: quale sostegno c’è per una donna che sceglie di lasciare un partner violento? Non stiamo parlando solo di sostegno economico, ma supporto emotivo, legale, strutturale.

Il suo libro non è un memoir, ma autofiction: come mai questa scelta?

Un memoir è una rappresentazione di ciò che è successo. L’autofiction è un’interpretazione che prende alcuni aspetti di ciò che è accaduto per creare un’opera di finzione. In questo senso il romanzo conterrà lo stesso elemento di credibilità, ma non è costruito con l’intenzione di essere fedele alla storia. L’intenzione era restare fedele alla narrazione.

La battaglia contro la violenza domestica è un’opportunità per modificare le relazioni di genere?

Sì, penso che dobbiamo rimuovere la tossicità della violenza e del controllo dalle nostre relazioni. Non si può parlare di uguaglianza e non può esserci quando c’è violenza.

Il suo libro è stato definito «un moderno libro femminista da una prospettiva non occidentale», ma in questi mesi, a causa del lockdown, molte donne, sia in Oriente che in Occidente, hanno visto le loro libertà erose.

La storia della lotta (non solo la lotta per la liberazione delle donne, ma tutte le lotte) è un caso di un passo avanti e due indietro. Chi gode di una condizione di dominio non ama cedere terreno. Penso che la pandemia abbia tolto molti diritti alle donne, le abbia intrappolate in cattive situazioni domestiche, abbia fatto fare loro la maggior parte delle faccende e delle pulizie e, dato che sta arrivando una recessione, saranno le prime a perdere i loro redditi.

Ha molti follower sui social (oltre 100 mila su Twitter). Pensa possano essere uno strumento per combattere parte di questa battaglia?

I social media sono una piattaforma che uso per farmi sentire su molte cose che contano per me. Stampa e tv sono sempre più direttamente sotto il controllo dei grandi capitalisti. I social sono come Davide contro Golia, ma usiamo tutte le armi del nostro arsenale.

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