giovedì 6 febbraio 2020
«C’è differenza tra fiction e realtà, se non lo si capisce non so cosa farci» così si è espresso dopo le polemiche il trapper, arrivato ultimo a Sanremo per la giuria demoscopica
Junior Cally: «Non mi scuso, rifarei tutti i miei brani»
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“Se i genitori non controllano cosa guardano i figli, non è un problema mio”. Più chiaro di così non poteva essere Junior Cally, al secolo Antonio Signore, 28 anni, il trapper che mercoledì sera è arrivato ultimo al Festival di Sanremo (per la giuria demoscopica) e che giovedì mattina si è presentato (di nuovo senza maschera) alla platea di giornalisti in conferenza stampa.

Mercoledì Gessica Notaro, la ballerina e cantante con il viso deturpato dall’acido nel 2017 dall’ex fidanzato, aveva mostrato a sorpresa una foto con i loro due volti accostati, entrambi mascherati, “il mio per curare i segni della violenza subìta, il suo per idolatrare la violenza sulle donne”. Un’accusa forte e coraggiosa riferita alla canzone “Strega”, scritta nello stesso 2017 da Junior Cally, con un linguaggio fortemente misogino e immagini che rappresentano in modo violento l’“utilizzo” di una ragazza legata alla sedia. Senza alcuna condanna. Una canzone iper scaricata dai giovanissimi.

Ma Junior Cally non ha cambiato idea nemmeno dopo aver ascoltato sul palco dell’Ariston la risposta cantata nella prima serata da Gessica Notaro e Antonio Maggio, autore della bellissima canzone “La faccia e il cuore”. “Sto dalla parte di Gessica”, ripete sperando di liquidare il problema e parlare finalmente della canzone di mercoledì sera. Che certamente ha pagato il prezzo delle polemiche pregresse.

Ma i giornalisti incalzano: non sente la responsabilità di far passare tra gli adolescenti messaggi che inducono al disprezzo della donna e possono persino portare (con il video) al femminicidio? “Anch’io da bambino vedevo i video di Marilyn Manson e vi assicuro che non ho mai cavalcato un porco per le strade come faceva lui nel suo video. Il mio è un modo per portare le tematiche in famiglia e creare un dialogo: i ragazzini vedono i miei brani con i genitori e poi se ne parla tutti insieme”. Forse ci fa, ma forse ci è. Crede davvero che i figli guardino “Strega” con mamma e papà? “Non è problema mio”. Dunque però ammette che le sue canzoni, come un film pornografico o violento, debbano essere corredati da bollino rosso? “Infatti è così, c’è un ‘parental advisory’ che avverte se apri quei video”, ribatte soddisfatto. Poi assicura, lui così nemico del politicamente corretto, “sono contrario a tutte le forme di violenza, compresa quella sulle donne”.

Se non è capito, quindi, non è colpa sua ma del fatto che “il linguaggio dei trapper fa fatica ad essere compreso! Se ci fermassimo ogni volta a quattro righe di testo di qualche canzone, non ci sarebbe mai un Festival”. Si gioca anche la carta della mamma, “60 anni, ex maestra elementare, eppure ha capito benissimo non solo i miei brani ma tutto il trap”. Anche i voti alti che alcuni giornalisti gli hanno dato per il brano cantato mercoledì sera evocano il rimando alla madre, “vi ringrazio molto, se portassi quei voti a casa in pagella mia mamma sarebbe felice”.

Strategie. Come il volto scoperto. Lo racconta lui stesso: “Prima volevo apparire mascherato, ma dopo tutte le polemiche ho deciso di metterci la faccia”, solo quella però, perché lo ribadisce, “non mi scuso affatto, rifarei tutti i miei brani, mi dispiace se qualcuno si è sentito offeso… C’è differenza tra fiction e realtà, se non lo si capisce non so cosa farci”. Soddisfatto dei numeri (centinaia di migliaia i ragazzi che scaricano i suoi trap e “la canzone di ieri ha già 105mila visualizzazioni in streaming”), spiega che “il trap è un sottogenere del rap, dovremo abituarci a questo genere. La mia è arte e io sono un artista. Perché nei film un attore può recitare anche un ruolo negativo senza che gli si accolli qualche colpa, mentre un cantante è messo sotto accusa per quello che canta? Un cantante può essere allo stesso tempo un regista, non sento alcuna responsabilità in questo senso verso i teen ager, la mia opera d’arte è contro la violenza”.
Insomma, si sente incompreso da tutti, non lo sfiora il pensiero che allora sia lui a non spiegarsi. E di cambiare linguaggio non ci pensa proprio, “chi può decidere qual è il limite da non superare? La linea di confine è sottile tra limite e censura”, sottile come quello che separa una vera opera d’arte e una truce rappresentazione di violenza sessuale. Gli rileggiamo qualche suo verso, dove il nome della donna fa rima con il peggior turpiloquio (alla faccia del Dolce stil novo), e finalmente perde la pazienza, “allora è colpa mia?”. Risposta: anche. “Ma lei le ha lette le altre canzoni trap che girano? solo le mie sono così?”. Risposta: ha ragione, siamo in piena emergenza educativa. Lo dice la cronaca, l’escalation di abusi e femminicidi, dopo i quali ci chiediamo ogni volta che cosa non vada. Non solo i cattivi esempi che dalle cuffie entrano nei cervelli e nei cuori dei giovanissimi, certo, ma tutto aiuta.
Della classifica (forse in realtà punitiva) non parla, “non ho pensato a guardarla e a commentarla”. Fatto sta, gli ricordiamo, che il picco di ascolti lo ha avuto chi la finzione non sa proprio cosa sia, il 22enne sardo Paolo Palumbo, malato di Sla e sdraiato sulla sua lettiga. Insieme a Cristian Pintus ha cantato il suo rap “Io sono Paolo”, grazie al lettore oculare che da un anno gli presta una voce artificiale. Erano già le 23 passate ma di fronte alla sua esibizione lo share è schizzato oltre il 58% con 12 milioni di spettatori. Junior Cally annuisce, non ha niente da ribattere.

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