mercoledì 15 aprile 2015
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Fedele cultore della memoria e della santità della Chiesa («Non senza peccatori, ma senza peccato» fu il motto della sua vita), della tradizione («Uno degli ecclesiologi più equilibrati soprannaturalmente acuti del XX secolo», secondo una felice definizione del cardinale Giacomo Biffi), ma anche uomo del dialogo e soprattutto pensatore, considerato da Paolo VI come «un maestro e un amico».  È la cifra accademica ma anche lo stile di apostolato intellettuale che ha cadenzato la vita del teologo svizzero, e cardinale a 74 anni per volere di Paolo VI, Charles Journet (1891-1975) di cui ricorrono oggi i 40 anni della morte. Intellettuale che ha inciso nella storia e nel pensiero della teologia del Novecento per aver realizzato volumi monumentali come L’Église du Verbe Incarné. Essai de théologie spéculative (considerato dal domenicano Congar come «l’opera dogmatica più profonda che sia stata scritta ») o pubblicazioni di grande attualità come Le Mal o ancora Le Dogme, chemin de la foi, Journet è ricordato ancor oggi per essere stato il fondatore (assieme al giovane abbé François Charrière) e padre nobile della prestigiosa rivista Nova et Vetera.  Un’eredità dunque ancora attuale alla luce della comune visione teologica tomista che condivise con l’amico Jacques Maritain, ma anche per l’adesione convinta al magistero del Vaticano II e di Paolo VI.  Di questo è convinto il suo più antico discepolo, il teologo emerito della Casa Pontificia e cardinale domenicano, lo svizzero Georges Marie Cottier: «Journet è stato uno strenuo difensore del tomismo e della sua gloriosa tradizione. La sua teologia la si scopre pian piano. E chi, tra i primi, aveva intuito la sua grandezza nascosta è stato Giovanni Battista Montini, che da arcivescovo lo volle tra i relatori per la grande “missione di Milano” del 1957. Stimato da Claudel e da La Pira, lo ricordo anche come grande solitario e contemplativo, combattuto in fondo tra la vocazione certosina e quella domenicana. Scelse infatti, lui sacerdote secolare, di essere sepolto in un luogo molto amato: il cimitero della Chartreuse della Valsainte in Svizzera». Cottier aggiunge un particolare: «Ricordo ancora come fu apprezzato, durante il Concilio, il suo intervento sulla costituzione pastorale Gaudium et spes: Journet intravedeva in quel testo un eccesso di ottimismo e un’attenzione sproporzionata alle questioni temporali, che non rispettava la soprannaturalità della Chiesa e della sua vocazione». La finezza ecclesiologica vedrà quasi sempre Journet essere in linea o anticipare le linee programmatiche di magistero di Paolo VI. «Indubbiamente mi ha sempre colpito che Montini sia stato fin da giovanissimo un attento lettore del teologo di Friburgo – rivela il giovane studioso e sacerdote ambrosiano don Samuele Pinna, autore della brillante tesi La santità della Chiesa in Charles Journet –. Egli attinge spesso ai suoi testi, soprattutto durante il Vaticano II consulta spesso L’Eglise du Verbe incarné. L’anello di congiunzione tra i due è sicuramente la comune amicizia con Maritain. Paolo VI farà riferimento al pensiero del teologo elvetico anche per la stesura della lettera dedicata al VII centenario della morte di Tommaso d’Aquino, la Lumen Ecclesiae. Se ho scoperto la grandezza di Journet lo devo all’arcivescovo emerito di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi, che mi ha suggerito la sua lettura. Ne ho così scoperto la metafisica “robusta”, il “tomismo intelligente”. In Journet emerge quasi sempre un’armonia tra fede e ragione, una filosofia del buon senso, come direbbe Chesterton».  Un capitolo centrale dell’esistenza di Journet è l’amicizia intercorsa con l’autore di Umanesimo integrale, durata più di cinquant’anni (1920-1973) e confermata da una fitta corrispondenza di oltre duemila lettere. «Vi è stata tra loro – è la riflessione del filosofo Piero Viotto – una condivisione di affetti nella medesima fede. La loro amicizia non avrà mai intervalli dagli anni della comune frequentazione dei circoli tomistici a Meudon, non lontano da Parigi, agli anni dell’esilio di Maritain in America: quasi sempre si scambiano i lavori, che si correggono reciprocamente. L’approccio dei due autori ai problemi è diverso: esclusivamente filosofico in Maritain, esplicitamente teologico in Journet; ma entrambi non separano questi diversi livelli di conoscenza, riconoscono che l’intelligenza umana può conoscere Dio e si pongono in posizione critica contro le filosofie – come la fenomenologia o la filosofia analitica – che escludono la conoscibilità di Dio. Uno dei loro grandi meriti è stata la riscoperta di san Tommaso non in maniera manualistica, ma in dialogo con il pensiero contemporaneo». Altro punto di convergenza secondo Viotto è la comune lotta a «ogni forma di dittatura di destra o di sinistra» – basti pensare alle critiche alla guerra civile spagnola e «a come furono osteggiati per questo dalle autorità ecclesiastiche durante la seconda guerra mondiale. Entrambi elaborano una filosofia politica che nella democrazia e nel pluralismo indica un’organizzazione della società dei diritti umani». Una conferma arriva dal ruolo giocato da Journet durante il Vaticano II: «Il suo intervento in difesa della dichiarazione Dignitatis Humanaesulla libertà religiosa – rivela Cottier, allora perito personale di Journet – fu articolato e convincente: diede chiarimenti importanti. Era molto favorevole a questo testo e il fatto che lo sostenesse ha permesso a molti vescovi conservatori di tranquillizzarsi e accettare la versione finale». Ma è negli anni della tempesta post- conciliare che Montini ricorrerà al suo teologo di fiducia – (nel 1966 lo aveva nominato nella commissione cardinalizia incaricata di esaminare la controversa questione del Catechismo olandese, proposta dal cardinale Alfrink) – per la stesura e redazione (si farà aiutare da Maritain) del «Credo del Popolo di Dio», pronunciato a conclusione dell’Anno della Fede il 30 giugno 1968. «Maritain – osserva Cottier – aveva l’idea che il Papa doveva fare un’affermazione ferma della fede della Chiesa. Ha mandato un testo a Journet a titolo personale e Journet lo ha girato a Paolo VI, il quale lo ha fatto suo con pochi ritocchi».  «La più grande eredità di Journet – è la considerazione finale di Cottier – è il suo amore per la Chiesa e il suo mistero. Uno degli aspetti più singolari del suo pensiero è riaffermare che “la frontiera della Chiesa attraversa i nostri cuori. Non siamo membri della Chiesa in quanto peccatori, il peccato è un tradimento”. Molte di queste riflessioni su questo tema sono state riprese e ribadite da Giovanni Paolo II per la stesura della Tertio Millennio Adveniente, la lettera apostolica per il Giubileo del 2000 dedicata alle richieste di perdono per le colpe dei cristiani. Un teologo da riscoprire dunque, forse anche per questo».
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