sabato 20 maggio 2023
Nel suo nuovo libro il cardinale Tolentino Mendonça illustra la rilevanza dell’apostolo non solo per la fede ma per l’intera nostra storia
Parmigianino, “Conversione di Paolo” (particolare). Vienna, Kunsthistorisches Museum

Parmigianino, “Conversione di Paolo” (particolare). Vienna, Kunsthistorisches Museum - Bilddatenbank

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Pubblichiamo una anticipazione del nuovo libro del cardinale Tolentino Mendonça Metamorfosi necessaria (Vita e Pensiero, pagine 144, euro 16,00).

Può sembrare strano che Paolo di Tarso venga ricordato come uno degli uomini che più hanno portato nel mondo innovazioni e idee. Una pigra percezione culturale oggi prevalente non immagina che sia possibile associare al campo del religioso la responsabilità di idee che hanno oggettivamente fatto progredire il mondo, né che un autore come Paolo possa essere considerato rilevante al di là della cerchia confessionale. E credo che un ritratto di tale genere sorprenda non solo coloro che si pongono al di fuori del cristianesimo, ma anche molti tra gli stessi cristiani. Il misconoscimento dell’impatto di civiltà che una visione religiosa della vita può esercitare è una questione che tocca tutti (l’analfabetismo rappresenta oggi un problema trasversale), ben più di quanto non si ritenga comunemente. Invece la qualità del nostro comune futuro passa per la mutua valorizzazione delle nostre fonti di ispirazione, per la curiosità di conoscere il mondo al quale apparteniamo e per l’audacia di tessere intersezioni con il mondo degli altri.

Un pensatore come Paolo di Tarso interessa tutti, non foss’altro perché risulterebbe impossibile capire la storia dell’Occidente [...] prescindendo dall’impatto della sua parola. Per questo, conoscere san Paolo equivale anche a meglio conoscere noi stessi. Dove comincia il cristianesimo? Quand’è che il suo sviluppo arriva al punto di maturazione storica che permette di designarlo come movimento religioso autonomo, con una sicura coscienza di sé e del proprio significato? Quali sono i confini temporali di quello che convenzionalmente chiamiamo cristianesimo “primitivo” o "delle origini"?

Entrando senza indugio nel dibattito, possiamo dire che la risposta è semplice e complessa al tempo stesso. È semplice, perché all’origine del cristianesimo sta, con ogni evidenza, quel Gesù di Nazaret riconosciuto dai suoi come «il Cristo» [...]. Tutti i tentativi di separare Gesù dal successivo movimento cristiano hanno finito per rivelarsi artificiali. Ma è parimenti vero che la risposta è anche complessa.

Al di là, naturalmente, del radicamento in Cristo, che l’evento della Pentecoste accentua, c’è un insieme di avvenimenti decisivi per le comunità dei primi decenni da tenere in considerazione, poiché in essi venne chiarendosi la concreta direzione da seguire. È il caso di quello che viene genericamente chiamato Concilio di Gerusalemme, negli anni 48-49 d.C., che gioca un ruolo chiave nella configurazione assunta in seguito dal cristianesimo. Riconoscendo una sorta di duplice matrice nella futura costruzione delle comunità, che prevedeva tanto la componente giudaica quanto la componente gentile, o pagana, quella prima assemblea deliberativa degli apostoli rafforzò una visione universalista e integrativa della proposta cristiana. Lo stesso dicasi della crisi politica che ebbe il suo culmine nella tragica distruzione del Tempio, nel contesto della cosiddetta Guerra Giudaica (66-70 d.C.). Il giudaismo che riemerse da quel momento storico puntava a una chiarificazione nei riguardi dei cristiani, mostrandosi meno esitante verso una rottura che portasse allo scoperto le differenze tra le due parti. Questi due eventi accelerarono il processo di autocomprensione del cristianesimo, come peraltro è possibile constatare in diversi passi evangelici.

Altrettanto determinante fu la scomparsa quasi simultanea, ancor prima della dichiarazione della Guerra Giudaica, di tre figure di riferimento del movimento cristiano delle origini: Giacomo, fratello del Signore, martirizzato a Gerusalemme; Paolo e Pietro, martirizzati a Roma. La loro morte rappresentò per il cristianesimo un’autentica cesura simbolica. Ma permise, al tempo stesso, l’emergere di un fattore nuovo che si rivelerà decisivo: invece di dipendere dalla personale attività degli apostoli, l’espansione del cristianesimo troverà il suo fermento nell’intensa produzione letteraria direttamente riferita a loro, o indirettamente legata alla loro testimonianza. In questo senso, la composizione degli scritti teologici di Paolo e la redazione dei Vangeli in forma di resoconti narrativi danno corpo a una presa di coscienza teologica e storica, e inaugurano la forma di cristianesimo pervenuta fino ai giorni nostri.

Scrivendo, il cristianesimo si scrive. L’edificazione del movimento cristiano si trova riflessa nella genesi degli scritti neotestamentari che la raccontano, la mappano e la promuovono. E giungiamo così a quel pensatore imprescindibile che è Paolo di Tarso [...]. Il Vangelo è, secondo Paolo, il mezzo grazie al quale i credenti vengono generati; ed è di una vera gestazione che si tratta. Noi siamo inscritti tra l’essere e il divenire, siamo cioè questa «tensione tra il già e il non ancora che si riflette nelle immagini della famiglia: è vero che possiamo essere chiamati “famiglia di Dio” in senso stretto, ma è anche vero che non abbiamo ancora ricevuto la pienezza della filiazione» (Daniel von Allmen, La famille de Dieu). Per questo abbiamo bisogno di essere generati.

Mi sembra pertinente, muovendo da questa premessa tipicamente paolina, citare quello che dice André Fossion a proposi- to del presente storico della Chiesa: «La fede cristiana si trova oggi in un generalizzato stato di inizio o di ripartenza. Chi dice “ripartenza” dice allo stesso tempo processo di morte e di rinascita. Oggi infatti assistiamo tanto alla fine di un mondo come alla fine di un certo cristianesimo. Eppure non è la fine del mondo né la fine del cristianesimo. È anzi un tempo di germinazione, con tutta la nostalgia – e anche il sollievo – che ciò può comportare per quello che muore, come pure le incertezze e la speranza per quello che nasce. Si tratta pertanto di una perdita, ma anche di reincontri in altri luoghi e in altri modi» (André Fossion, Que anúncio do Evangelho para o nosso tempo?).

Se è questo il quadro storico del nostro cristianesimo, come favorire in esso gli inizi della fede? È una domanda che Fossion si pone e alla quale egli stesso risponde: disimparando, e ricostruendo un insieme di rappresentazioni. A cominciare dalla sfida a reimparare il significato della creazione, nucleo vitale della teologia paolina. La creazione non è il Big Bang iniziale, qualcosa che abbiamo lasciato al passato. La creazione non sta solo dietro di noi: è anche nel presente e, soprattutto, davanti a noi, nel futuro. Dio, infatti, non ha creato l’uomo. Lo crea e continuerà a crearlo. In questo senso, noi ci troviamo sempre nella situazione di essere creati e di creare: «Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi» (Rm 8,22). Non siamo semplicemente testimoni di un passato. Ogni persona è chiamata a essere – e già lo è – un documento del futuro.

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