mercoledì 24 ottobre 2018
Alla Festa del cinema di Roma irrompe il gesto suicida che sconvolse l’Europa. Il regista Sedlácek: «La sua tragica morte sia di monito per noi e le future generazioni. Il futuro è nella democrazia»
Una scena del film “Jan Palach” del regista Robert Sedlácek, presentato alla Festa del Cinema di Roma

Una scena del film “Jan Palach” del regista Robert Sedlácek, presentato alla Festa del Cinema di Roma

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Con il suo gesto estremo è diventato il simbolo della “primavera di Praga”, della resistenza cioè contro il regime sovietico che occupò la Cecoslovacchia per oltre vent’anni. Oggi Jan Palach, nato nel 1948, avrebbe 70 anni e insegnerebbe forse filosofia in qualche università europea, come fanno alcuni suoi compagni di corso. Invece il 16 gennaio 1969 il giovane si recò in piazza San Venceslao, nel centro di Praga, e ai piedi della scalinata del Museo Nazionale si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Morì dopo tre giorni di agonia, dopo aver rivelato ai medici di aver preso a modello i monaci buddhisti del Vietnam.

L’ultimo mese di vita del giovane patriota viene ora restituito da un film presentato ieri alla Festa di Roma, Jan Palach, diretto da Robert Sedlácek, focalizzato sulla progressiva presa di coscienza del ragazzo convinto che fosse suo dovere risvegliare la coscienza di una nazione addormentata e sacrificare se stesso per la libertà del proprio paese.

«Ho avuto l’onore di portare sullo schermo uno dei più grandi eroi della nostra storia – dice il regista – in un film non ideologico, che riflette sulla lotta contro il potere. Ogni popolo ha bisogno di persone che sappiano ribellarsi contro la tirannia non solo con le parole, ma anche con le azioni. Ogni popolo ha eroi che lo rappresentano e uno di questi per noi è Palach, un personaggio fuori dal comune. Ma perché parlare di lui oggi? Perché la sua storia sia da monito per noi e le future generazione, anche se la situazione dei nostri giorni non è paragonabile a quella dei tempi di Palach, quando bisognava dichiarare che il nero era bianco, il bianco era nero e che l’occupazione era un “aiuto fraterno”. Recentemente sono stato invitato a presentare il film a un festival per ragazzi nella Repubblica Ceca, ed ero molto preoccupato, non pensavo che Jan Palach fosse un lavoro adatto ai giovanissimi. E invece la giuria di ragazzini dagli 11 a 15 anni lo ha premiato. E anche nei licei la reazione è sorprendente».

Ma il regista non è pessimista sul futuro. «Credo nella democrazia, anche se il marketing ha preso il sopravvento. Oggi Dio è stato sostituito dal potere di chi ci governa, che utilizza sofisticate menzogne destinate a complicare la comprensione della vita reale». Il sacrificio compiuto da Palanch rimanda inevitabilmente a quello invocato dai terroristi islamici, che rivendicano il martirio come strumento di lotta snaturandone però il significato più profondo. «Nel libro dell’esule politico Jiri Lederer, alla base del film, ci sono molte riflessioni dell’autore che soffre per l’incapacità di commettere lo stesso gesto di Jan. I suoi pensieri mi hanno spinto a fare delle considerazioni sui terroristi islamici di oggi, che non sono folli o psicopatici, ma persone cresciute in una realtà per loro insostenibile e priva di qualunque possibilità di cambiamento. Palach però ha rivolto rabbia e violenza solo contro se stesso, senza colpire persone innocenti. Penso che lui abbia commesso un atto terroristico contro la coscienza del proprio popolo colpendo in maniera profonda la società cecoslovacca. Il suo atto provocò silenzio, introspezione, una riflessione solitaria».

Il dibattito sul suicidio di Palach nella Repubblica Ceca è sempre aperto. Sono ancora in molti infatti a interrogarsi sulle ragioni del giovane, che durante i tre giorni di agonia, tra atroci sofferenze, rilasciò due interviste, a un’infermiera e a un’amica, forse la sua fidanzata. «Non è certo che queste due ragazze non fossero state manipolate dalla polizia intenzionata a scoprire se altri fossero pronti a rifare lo stesso gesto. Palach insomma fu sfruttato dal potere anche sul letto di morte».

Il libro di Lederer però non è stata l’unica fonte di notizie per la realizzazione del film. «Lederer non aveva tutte le informazioni. Aveva parlato con testimoni che raccontarono quello che ricordavano, mentre io ho parlato con molte persone ancora vive, ottenendo testimonianze più recenti. Sono partito da fatti reali, mentre lui ha immaginato molti avvenimenti. Tutta questa storia è stata a lungo analizzata da un’inchiesta della polizia di Stato e da quella segreta. I poliziotti erano infatti scioccati, volevano sapere se qualcuno lo aveva spinto a questo atto inconcepibile per loro, non capivano come qualcuno potesse uccidersi per una cosa così banale come la politica».

La sofferenza di Palach è resa anche da una lunga scena che si sofferma sul suo corpo martoriato. «Mi sono molto interrogato su quanto questa scena dovesse durare. Inizialmente era anche più lunga e capisco che possa suscitare grande impressione. Ma non si tratta di manierismo registico: innanzitutto volevo che fosse chiara tutta la drammatica portata di quel gesto. In secondo luogo quel momento riassume il senso dell’intero film: chi si ribella al proprio destino paga un prezzo assai alto».

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