Lina Sastri: «L’arte è espressione di Dio»

Tra canzoni napoletane e monologhi struggenti, l’artista riflette sul tempo che passa e il potere trasformativo dell’espressione artistica
December 29, 2025
Lina Sastri: «L’arte è espressione di Dio»
La cantattrice napoletana Lina Sastri in "Voce 'e notte"
 
Entra con la sua allure inconfondibile, ieratica e verace, tutta vestita di bianco, ma il rosso, il suo colore preferito, immancabilmente si paleserà. La scena è semplice: un pianoforte, una candela, cinque rose rosse, una sedia e un tavolino. Non le serve altro per incantare. C’è la sua voce, immutabile, inconfondibile, capace di far sbocciare gioie e dolori della sua terra e del suo animo, graffiante o melodiosa, calda e ruvida, sincopata o armoniosa. E c’è la notte, che lei non teme e che le appartiene, che le dona libertà e verità perché priva delle illusioni e degli abbagli della luce. È quindi all'insegna della semplicità assoluta l'ennesimo gioiello di teatro canzone che ci regala Lina Sastri con Voce 'e notte (visto al Teatro Greco di Roma e in tournée fino ad aprile 2026). È un genere che l’artista partenopea ha portato sul palco in tempi non sospetti creando, sin dai primi anni ‘90, da Cuore mio a Corpo celeste, da Mese mariano a Linapolina, Appunti di viaggio, Pensieri all'improvviso, fino al più recente Eduardo mio, un viaggio quasi picaresco in cui risuonano e riverberano passioni, riflessioni, versi, ricordi privati, affetti familiari, incontri artistici. Le canzoni, dai classici napoletani agli omaggi all’amico Pino Daniele, si fondono e ballano con le parole, con le voci della mamma Ninetta o del maestro Eduardo, o lasciano spazio all’aspro e lacerante monologo di Filumena Marturano che mette a nudo rabbie e dolori sfaldando tra le mani ad uno ad uno i petali di una rosa, o a un pensiero sulle profondità divine del mare. È un flusso di coscienza e sapienza musicale e verbale che scorre ininterrotto per 90 minuti, sorretto dalle note suonate al pianoforte da Ciro Cascino, e che ha anche una sua vita vintage grazie a un oggetto che ha un fascino senza tempo: il vinile. «Una scelta non nostalgica – precisa Lina Sastri – ma filosofica perché comporta un ascolto consapevole». Ma in realtà tutto lo spettacolo è da assaporare con dedizione e richiede sensibilità e amore per la semplicità che è sinonimo di difficoltà come ci spiega la “cantattrice” napoletana: «Per certi aspetti questo è lo spettacolo più difficile perché è essenziale e radicale, sono sola col pianoforte che è strumento di accompagnamento per i cantanti ma è la voce che conduce e quindi sono artisticamente nuda».
Ma tra tutte le canzoni da quelle tradizionali a quelle contemporanee che fanno parte dello spettacolo ce n’è una che più risuona dentro l’animo di Lina Sastri? «Forse Alleria di Pino Daniele ma dipende dalle serate». Del rapporto col maestro Eduardo, che viene evocato anche in Voce ‘e notte, lei ha parlato molto e svelato diversi aneddoti ma ce n’è uno ancora non detto?
«Penso di non aver detto di quella volta che rifiutai una sua proposta importante. Mi invitò a Velletri nella sua casa di campagna e mi diede da leggere la commedia La donna è mobile di Vincenzo Scarpetta, avrei dovuto fare la parte della cameriera ma rifiutai perché non mi piaceva, lui basito esclamò: “Ma come? L’ha fatto pure Titina che con questo personaggio non bissava, trissava!”. E io, con un coraggio che sfociava nell’arroganza, replicai: “E io non sono Titina!”.
Lei era presente a Taormina nel 1984 quando Eduardo pronunciò il famoso discorso sul “gelo” del teatro. Per Lina Sastri quando il teatro è stato o è gelo?
«Quando sono in camerino e mi preparo, soprattutto in quei 5 minuti che precedono il “chi è di scena”».
Che fa in quei 5 minuti?
«Mi metto paura. L’artista è sempre solo con se stesso, quello è il gelo».
Fa gesti scaramantici?  
«Sì, ma non li posso dire, dico solo che c’è chi si è fatto male con quello che lancio per terra. Ma il gelo a teatro riguarda anche le rinunce che comporta. Dio non mi ha dato la famiglia che ho sempre cercato e desiderato, quella di origine non ce l’ho più. E la professione teatrale non mi ha aiutato in tal senso. Se avessi avuto dei figli non so se avrei continuato a fare l’attrice».
Suo fratello Carmine a tale proposito le disse: “Fai l’artista e vuoi essere pure felice?”
«E aveva ragione, le due cose sono inconciliabili. Basti pensare che le canzoni d’amore belle sono tutte dolorose; l’amore felice lo vivi, non lo dici».
A Carmine lei ha dedicato La mancanza, uno struggente cortometraggio in cui ha raccontato la morte di suo fratello durante il Covid nel 2021. Come convive con questa straziante assenza?
«Per me Carmine c’è sempre, non riesco a pensare che non ci sia più quella forza della natura e della bellezza che, nonostante un ictus e poi il cancro si era reinventato menestrello, artista della cucina, lui che non sapeva fare nemmeno un caffè. Ma poi il Covid se l’è portato via e non ho potuto nemmeno vivere una delle opere di misericordia corporale, la sepoltura. Non si supera la mancanza. Ad esempio, così come si vede anche nel corto, io davvero telefonavo a Carmine dopo la sua morte, lo chiamavo, sapevo che non c’era più, ma avevo bisogno di parlargli».
Come si sente ora Lina Sastri?
«Non sto bene, sono stanca, mi sento come in una terra straniera, forse è la vecchiaia, ma sicuramente sono un’anima guerriera e sento il bisogno di tornare alla prosa, di misurarmi con i grandi autori, mi piacerebbe avere una fabbrica, una “sastreria”, che in spagnolo significa sartoria, non una direzione di teatro ma un’officina dove creare, in cui invitare un grande attore o regista per farlo dialogare coi giovani».
Quale pensiero ha Lina Sastri sul tema della violenza contro le donne?
«Io l’ho conosciuta quella violenza in prima persona quando ero piccola anche se non ne ho mai parlato pubblicamente. Credo ci sia sempre stata, il più forte si è sempre approfittato del più debole. Bisogna denunciare sempre ma come fa una donna a sentirsi protetta quando dopo una denuncia ti chiedono le prove di un’aggressione fisica o psichica? Finisci col sentirti ancora più sola e indifesa».
Eduardo diceva che capiva la sua forza e la sua fragilità. Quale la fragilità oggi di Lina Sastri? 
«Il tempo che passa, ti guardi allo specchio e non ti riconosci, certo non ho agito chimicamente per mascherare i segni della senilità per paura di non riconoscermi ancora di più o di diventare schiava di un meccanismo ciclico. La solitudine è un’altra delle mie grandi paure».
Come affronta un’artista la vecchiaia?
«Non mi sento sul viale del tramonto, mi sento su un fiume che va verso il mare».
Quanto la aiuta la fede?
«La fede mi accompagna sempre, anche prima di andare in scena».
San Giovanni Paolo II nella sua memorabile lettera agli artisti del 1999 scriveva che “La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre”. Ha mai avuto timore che la fede limitasse il suo genio?
«Mai! Anzi, anche in scena attraverso l’arte puoi mostrare la profondità di ogni essere umano, l’arte è l’espressione di Dio».
Quale è il saluto preferito da Lina Sastri?
«Che la Madonna ti accompagni! Vuol dire che non cammini da solo perché ad accompagnarti c’è la Madre, il cuore di madre».

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