domenica 15 luglio 2018
Il Festival dei Due Mondi di Spoleto ha chiuso con “Jean d’Arc au bûcher”, opera di Claudel musicata da Honegger. La diva francese è una Pulzella di grande altezza spirituale
La spettacolare entrata di Marion Cotillard nella piazza del Duomo di Spoleto nei panni di Giovanna d'Arco (foto Kim Mariani)

La spettacolare entrata di Marion Cotillard nella piazza del Duomo di Spoleto nei panni di Giovanna d'Arco (foto Kim Mariani)

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Giovanna d’Arco, bellissima e fiera, avanza verso l’imponente facciata del Duomo di Spoleto su un cavallo bianco che attraversa a passo lento tutta la piazza fra due ali di folla. Sulla destra, una pira composta di decine di fiammelle a rappresentare il rogo cui è stata condannata la Pulzella, che nel frattempo sale sul palco attorniata da oltre 200 persone fra orchestrali, solisti e coro. Gli occhi grandi e il profilo francese sono quelli della star Marion Cotillard, un premio Oscar che già diverse volte in passato è stata la protagonista dell’oratorio Jean d’Arc au bûcher (“Giovanna d’Arco al rogo”, sogno di ogni primadonna), che nel 1938 nacque dalla collaborazione fra il grande scrittore francese Paul Claudel e il compositore svizzero Arthur Honegger. Un capolavoro della musica contemporanea in 11 scene e un prologo, che il 61° Festival dei Due Mondi di Spoleto produce in una nuovissima e imponente versione (che verrà ripresa a Parigi dall’attrice) che domenica ha debuttato nella splendida piazza del Duomo di Spoleto con l’Orchestra Giovanile Italiana, il Coro e Coro delle voci bianche dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma diretti da Ciro Visco, la direzione musicale di Jéréme Rhorer e la regia di Benoît Jacquot, uno dei più raffinati cineasti francesi nonché regista d’opera. Una vetta della musica spirituale che ha concluso il festival spoletino dopo un fine settimana ricco di debutti, da Victoria Thiérree Chaplin a Romeo Castellucci, Ugo Pagliai, Marco Tullio Giordana e che ieri ha visto la Fondazione Carla Fendi premiare Peter Higgs e François Englert, premi Nobel per la Fisica 2013, e Fabiola Gianotti, attuale direttore del Cern. Abbiamo incontrato Benoît Jacquot a Spoleto in un momento speciale, fra la Festa nazionale francese e la vigilia della finale dei Mondiali tra Francia e Croazia. «Sarebbe bello avere giocato contro gli inglesi. In fondo furono loro a far bruciare Giovanna d’Arco. Avemmo cercato di vendicarla» scherza ironico il regista 71enne.

Che Giovanna d’Arco è quella di Benoît Jacquot?

«Una ragazza giovanissima, pura e entusiasta come i bambini. Per questo tutti sono vestiti di nero, tranne Giovanna che è vestita con un abito bianco e nero come i bambini del coro. Lei è diventata una leggenda, la verità storica su di lei è molto enigmatica. Giovanna è l’eroina nazionale, la santa cattolica e guerriera che presenta anche qualche ambiguità, di cui non ha colpa, su cui taluni hanno giocato. Rappresenta una Francia che esiste, ma di cui io, in quanto lai- co, non mi sento di fare parte. Eppure questo personaggio mi affascina».

In che cosa?

«Il magnifico poema di Claudel e la musica di Hoenegger a partire da Giovanna fabbricano qualcosa che trovo artisticamente molto potente. La musica e le parole insieme producono un effetto di grande altezza spirituale ».

Avere il Duomo di Spoleto come quinta naturale aiuta?

«Spoleto dà un sapore speciale a questo lavoro. Cercherò di fare sì che piazza del Duomo non sia semplicemente un luogo decorativo, ma che prenda una dimensione drammaturgica. Ci sarà molto movimento nei recitati e nei cantati, ma sarà tutto all’insegna dell’essenziale. Non voglio uscire dall’oratorio, avrebbe risultati ridicoli».

Veniamo alla Giovanna di Marion Cotillard…

«Marion è da sempre follemente appassionata della Giovanna d’Arco di Claudel-Honegger, le dona movimento, turbamento e profondità in una serie di flash back in cui ripercorre la sua vita, al momento di affrontare il rogo. Mi interessa che, in quanto donna, abbia insegnato agli uomini a fare quello che non potevano fare. È molto potente che la figura leggendaria più rappresentativa di Francia sia una donna e non un uomo. C’è qualcosa nel cattolicesimo che mette le donne su un piano che predispone a una eroizzazione della figura femminile. La santa, la madre, la vergine».

Giovanna d’Arco ha ispirato anche molti grandi registi prima di lei.

«Giovanna in generale ha dato vita a dei bei film. C’è qualcosa in questa storia che affascina, attira e che produce desiderio di rappresentazione. Ho amato molto quelle di De Mille, Dreyer, Bresson, Rivette. La Giovanna d’Arco di Luc Besson? Non male, ma quello era un fumetto».

E Rossellini? Oltre al film del 1954, portò anche in scena Ingrid Bergman nell’oratorio di Claudel-Honegger.

«Ho talmente ammirazione per Rossellini che lo trovo sempre interessante, ma il suo film non lo trovo bello. Mia mamma da ragazza vide a teatro con mia nonna la sua messa in scena. Mia nonna era attrice ed aveva interpretato proprio la Giovanna d’Arco al rogo di Claudel: trovò pessima l’interpretazione della Bergman».

Il poema di Claudel tocca le corde dell’anima. Quali toccano di più lei?

«Trovo estremamente forti i punti in cui la Cotillard/Giovanna risponde a delle chiamate, degli appelli interiori. “Io vengo, io vado, io mi libero dalle mie catene” con uno slancio spinto ancora più in alto dalla musica. In questi tempi di crisi degli ideali quest’opera è assolutamente attuale. È quando la fame regna, che il nutrimento è benvenuto».

Giovanna d’Arco è attuale anche in relazione alla questione femminile?

«Per le donne oggi è il momento dell’“ora o mai più”. Il momento per esporre il più possibile la questione dell’assoggettamento delle donne agli uomini. Ma temo che il movimento #meetoo sposti l’attenzione dal vero problema, vorrei che le attrici parlassero anche della reale schiavitù di milioni di donne nei due terzi del pianeta».

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