mercoledì 19 agosto 2015
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«Meglio di qualsiasi altro scrittore sovietico, Pasternak è riuscito a creare l’immagine della Russia del XX secolo, con la sua coscienza, la sua anima e la sua spiritualità…Non pubblicare un romanzo come questo costituisce un crimine contro la cultura»: con questa definizione netta e incisiva il grande traduttore, slavista e studioso di letteratura e cultura russa Pietro Antonio Zveteremich (1922-92), nella scheda editoriale inviata all’editore Giangiacomo Feltrinelli nel maggio 1956, si fece entusiasta promotore della traduzione e pubblicazione di uno dei più celebri romanzi del Novecento, Il dottor Živago pubblicato in prima mondiale dall’editore milanese nel novembre 1957, che diede il successo mondiale a Boris Pasternak, Premio Nobel della letteratura nel 1958. Fu così che i lettori italiani, e poi di tutto il mondo, ebbero la possibilità di leggere le commoventi pagine di una delle più intense storie romantiche ed epiche della storia della letteratura mondiale, divenuta mitica grazie al film di David Lean del 1965 con Omar Sharif e Julie Christie. La pubblicazione del romanzo, completato alla fine del 1955 dopo la prima stesura del 1953, fu frutto di un’autentica epopea internazionale, che viene ricostruita dallo studioso Paolo Mancosu, docente a Berkeley, California, nel volume dal titolo Zhivago nella tempesta in uscita dalla Fondazione Feltrinelli in italiano e inglese. Bisogna ricordare anche che esiste una fitta corrispondenza tra lo scrittore russo, Zveteremich, e l’editore Feltrinelli, come riportato anche nella biografia di Carlo Feltrinelli Senior service. Lo stesso figlio dello scrittore fa riferimento a molteplici «peripezie che accompagnarono l’edizione del romanzo in Italia», un autentico intrigo internazionale vissuto durante le fasi concitate della “guerra fredda” e del disgelo, vicenda complessa – con il Kgb, il Pcus e l’Unione degli scrittori russi che consideravano il romanzo opera “antisovietica” – su cui si sono soffermati, oltre a Velerio Riva che fu testimone diretto, diversi giornalisti (Fiori, Papuzzi, Grasso, etc.).  La figura di Zveteremich, nato a Colonia da padre triestino, risultò davvero decisiva in questa intricata e avvincente vicenda editoriale. «È doveroso ricordare il suo contributo alla realizzazione della famosa edizione del romanzo. Fu proprio lui a convincere Feltrinelli a stampare Il dottor Živago, ben comprendendone l’importanza. È stato il primo a tradurre il libro in lingua straniera e il primo a trovare gli equivalenti per rendere il tessuto metaforico di questa opera complessa. È rimasto nell’ombra, forse a causa della sua modestia». Così scriveva sul “Corriere della sera” del 16 aprile 2008 il figlio di Pasternak, Eugenij Borisovic, che fu curatore della revisione della prima edizione russa del romanzo realizzata nel 1994. Un ruolo decisivo confermato dallo studioso di letteratura russa Giuseppe Iannello, che ha tradotto alcuni carteggi: «Fu Zveteremich ad insistere con l’editore milanese, superando le tante pressioni politiche, anche della sinistra italiana, che volevano scongiurare la pubblicazione del romanzo. Purtroppo la sua traduzione originale del 1957, realizzata in tre mesi, fu tradita nelle edizioni successive». Come ricorda la sua allieva, la polacca Aleksandra Parysiewicz Lanzafame, Zveteremich fu un intellettuale apprezzato da Calvino, Fortini, Soldati, Strehler, Vittorini, autore di programmi Rai, disegnatore, collaboratore de “Il politecnico”, illuminato traduttore di classici russi, del dissidente premio Nobel Solzenicyn, e delle poetesse Achmatova e la Cvetaeva. È stato celebrato di recente a Messina, proprio nel giorno della scomparsa di Sharif, con la posa di un suo busto posto accanto a quella di Pasternak, donati da alcune accademie russe, in quell’Ateneo peloritano dove insegnò letteratura russa dal 1974 al 1992.  Tutto aveva avuto inizio nel 1954, quando sulla rivista “Znamja”, lo studioso scopre le poesie di Boris Pasternak e viene a sapere che lo scrittore stava completando il romanzo Il dottor Živago, su cui in seguito si attivò, per conto di Feltrinelli, anche Sergio D’Angelo, collaboratore di Radio Mosca, che riuscì ad ottenere i diritti editoriali. Fu il traduttore, dopo aver fatto visita a Pasternak nel settembre del 1956 nel suo ritiro di Peredelkino (dove era controllato dai funzionari sovietici), a trasmettere a Feltrinelli – il quale aveva fretta di stampare il romanzo per superare la concorrenza della francese Gallimard – la richiesta di procedere il prima possibile alla pubblicazione del romanzo, la cui traduzione era stata completata il 18 giugno 1956.  L’iter per la pubblicazione fu alquanto complesso e pieno di incomprensioni. Lo slavista Angelo Rivellino, che apprezzava Pasternak solo come poeta, parlava di quel libro come «cosa minore», testimoniando degli ostacoli che il romanzo ebbe anche nel nostro mondo culturale, nonostante l’attenzione di personalità come Vittorio Strada, che lo aveva segnalato invano all’Einaudi. Il manoscritto fu inviato, incompleto e inedito, dallo stesso Pasternak allo scrittore Varlam Salamov, imprigionato in un gulag per il suo dissenso al regime: «Da tempo non leggevo in russo qualcosa all’altezza di Tolstoj, Cechov e Dostoevskj », scrisse Salamov, che grazie a quelle pagine si interrogò sul “Mistero cristiano”. Questa spy story trova un altro elemento, scovato dallo studioso Ivan Tolstoj, che, come rileva Santavecchi sul “Corriere della sera” del gennaio 2007, parla del caso dell’«edizione della Cia» del romanzo, la copia in russo che fu copiata a Malta dagli agenti americani e inviata ai giurati del Nobel per potergli fare vincere l’ambito premio. Come epigrafe di questa storia da romanzo, ci rimane il telegramma che Pasternak mandò a Feltrinelli tramite Zveteremich: «Egregio signore, la ringrazio di cuore per la sua commovente sollecitudine. Mi perdoni per l’ingiusto trattamento che le ha procurato e, forse, ancora le procurerà, il mio amaro destino. Che la protegga il nostro lontano futuro, in cui credo, e questo mi aiuta a vivere».
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