martedì 8 maggio 2012
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​Immaginate di essere in un Comune e di dover informare via Internet che il cimitero chiuderà per un giorno dopo il temporale che lo ha riempito di rami e foglie. Se non avete ancora indossato la giacca del funzionario, vi affidereste a una manciata di parole e a una frase alla portata di tutti. Invece, una volta seduti davanti alla scrivania, il vocabolario e lo stile cambiano d’incanto. Fino quasi a rasentare l’assurdo. Come ha annotato un’amministrazione comunale sul suo sito: «A causa di un fortunale abbattutosi sulla città, siamo con la presente a comunicare che nella giornata odierna il cimitero urbano resterà chiuso per effettuare le pulizie delle ramaglie».Benvenuti nel burocratese che domina fra gli enti pubblici e che fa lambiccare il cervello ai cittadini. Un idioma che non è tanto per addetti ai lavori, quanto al limite del grottesco se è vero che sul web un municipio può scrivere fortunale al posto di bufera o ramaglie invece di arbusti. E che dire della formula giornata odierna che potrebbe essere sostituita con il comunissimo oggi o del ridondante con la presente. Un’eccezione? «Macché è la regola. Nella pubblica amministrazione l’uso della lingua è spesso farraginoso, scorretto e a volte incompleto», sentenzia il giurista del Centro nazionale delle ricerche (Cnr), Pietro Mercatali. Cambia poco se abbiamo fra le mani una delibera di giunta, un cartello affisso in ospedale o una lettera che l’asilo comunale invia ai genitori. «Si predilige l’ampolloso perché si vuole imitare la lingua giuridica. Ma una cosa è dialogare fra avvocati, un’altra è comunicare con la gente», sostengono le ricercatrici dell’università di Firenze e collaboratrici dell’Accademia della Crusca, Angela Frati e Stefania Iannizzotto.Ecco perché, lungo le sponde dell’Arno, proprio la Crusca e il Cnr – con il suo Istituto di teoria e tecniche dell’informazione giuridica – hanno fondato un’associazione che vuol aiutare i dipendenti pubblici a «risciacquare» il loro italiano. L’hanno chiamata «Aquaa», quasi che la sigla voglia essere un condensato di errori simili a quelli che si fanno negli uffici statali o negli enti locali. Invece l’acronimo sta per «Associazione per la qualità degli atti amministrativi».Nata da appena due mesi, l’iniziativa è figlia della «Guida alla redazione degli atti amministrativi» che le due istituzioni hanno elaborato insieme con un gruppo di funzionari pubblici. Un vademecum che è già approdato sui tavoli di Comuni e Regioni anche grazie alle lezioni e ai corsi organizzati da «Aquaa» in tutta Italia.«Un primo carattere della lingua da uffici pubblici – spiega Frati – è il ricorso a parole inutili che hanno l’unica esigenza di innalzare il tono per dare autorevolezza ai contenuti». Fra i corridoi di un distretto sanitario tutto è severamente vietato. «Ma se un comportamento è proibito, può esserlo in maniera lieve?», si chiedono con ironia alla Crusca. E nei moduli che si ritirano alla posta o dai vigili urbani si legge che il documento va debitamente firmato: e che cosa aggiunge quell’avverbio alla richiesta di un autografo?Ai burocrati piacciono anche i vocaboli astratti («e spesso inutilmente lunghi», afferma Iannizzotto). L’alternativa è ricorre a sinonimi semplici che non stravolgono il significato. «Ad esempio consigliamo di non usare problematica al posto di problema o nominativo al posto di nome», avvertono le due linguiste di Firenze.Sempre sul fronte lessicale, la pubblica amministrazione si trincera di solito dietro la scusa dei tecnicismi. «Ma da giurista posso affermare che un linguaggio specialistico, finalizzato alla precisione, non può sfociare nell’indecifrabile», dichiara Mercatali. Non è un caso che Frati e Iannizzotto mettano al bando i «tecnicismi collaterali», vale a dire quelli che in fondo risultano inutili. Così la locuzione condizione ostativa può essere rimpiazzata da impedimento; procedere all’escussione da interrogare; o conferimento da consegna. Non bisogna neppure esagerare con i termini stranieri. «Perché parlare di mission istituzionale quando sarebbe sufficiente scrivere finalità? Oppure di meeting se si fa riferimento a una riunione?», segnala Frati. Però la Crusca non vuol trasformarsi in un censore. «Le parole importate arricchiscono la nostra lingua – rileva Iannizzotto – e alcune sono ormai insostituibili. Penso a welfare».Curiosa è anche la folgorazione per la frase negativa. Il progetto non è stato ammesso viene considerato più chic rispetto a il progetto è stato escluso. E poi si assiste alla passione per la nominalizzazione, ossia per quell’operazione linguistica che consiste nel preferire il nome al verbo. Quante volte abbiamo trovato che il pagamento si effettua allo sportello? «E invece sarebbe opportuno riportare Si paga allo sportello», sostengono le ricercatrici toscane. Occhio anche ad abbreviazioni o sigle. «Alcune sono entrate nel vocabolario di base, come Onu, Inps o Iva, ma altre lasciano interdetti – ammette la Crusca –. Sicuramente non è accessibile a tutti l’acronimo Ao che sta per azienda ospedaliera».Non va meglio se si guarda all’impostazione delle frasi. «Con il pretesto di giustificare una disposizione – afferma il dirigente del Cnr – vengono formati atti troppo articolati. Si comincia con visto, premesso o considerato e soltanto nell’ultima parte si presenta la decisione. Basterebbe rovesciare la struttura per rendere il documento più comunicativo senza che la sua efficacia cambi». Non solo. «In molti casi – aggiungono le linguiste di Firenze – i periodi sono contorti e gli stessi concetti vengono ripetuti più volte». Da qui il suggerimento di ripartire dalla regola soggetto-verbo-complemento oggetto che potrebbe adottare anche quel sindaco quando ha fatto sapere che «da oggi e sino all’ultimo giorno del corrente mese, sono depositate nella segreteria comunale, ai sensi del testo unico 20 marzo 1967, n. 223, le liste elettorali rettificate» (meglio posizionare all’inizio che «le liste elettorali rettificate sono depositate» mettendo di seguito il resto).L’effetto più perverso che produce questa babele linguistica è di sfornare testi per gli "Azzecca-garbugli" di turno. «L’uso del burocratese – osserva Mercatali – si traduce in una libertà di interpretazione che rappresenta l’opposto di quanto è nelle intenzioni degli uffici pubblici».Scherzi di un italiano contorto che potrebbe tornare a essere comprensibile seguendo pochi criteri. La Crusca ne indica quattro: ordine, semplicità, essenzialità e leggibilità. «Un testo è ordinato se le informazioni rispettano una coerenza gerarchica, se i destinatari sono ben definiti, se non si mescolano in modo casuale i concetti – raccomandano le due ricercatrici –. È essenziale se non include troppi aggettivi e avverbi, se non ha parole ricercate o solenni, se non impiega frasi prolisse. È semplice se usa vocaboli comuni, brevi e di origine italiana. Ed è leggibile se ha una punteggiatura e un’organizzazione grafica che ne facilitano l’approccio». Saprà la burocrazia convertirsi alla chiarezza?
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