giovedì 29 settembre 2016
ISRAELE un ponte di note
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I cavalieri cristiani sono tornati nella loro fortezza a San Giovanni d’Acri, l’ultimo baluardo crociato in Terra Santa caduto nel 1291, armati solo della voce a favore del dialogo tra Oriente e Occidente attraverso la musica. Così il paladino Ruggiero abbandona le illusioni d’amore dell’affascinante maga Alcina, mentre lei sospira con un sussurro cristallino il suo dolore infinito nel cortile della Fortezza dei Cavalieri Ospitalieri trasformata, tra fuochi giganti e paesaggi marini, nel suo coloratissimo e cangiante palazzo dalla sapiente videoartista israeliana Naomie Kremer.

Le note di Händel ispirate all’Orlando furioso di Ariosto, echeggiano eleganti tra le possenti arcate di pietra del XII secolo sul tocco preciso dell’ensemble francese Les Talens Lyriques, guidato con sapienza dall’“archeologo” della musica Christophe Rousset, e con le voci impeccabili di Cyril Auvity, Vivica Geneaux e Sandrine Piau. La sera prima, calato il sole e terminata la preghiera del muezzin dal minareto della vicina moschea di Al-Jazzar, è toccato a Purcell accompagnare l’addio alla vita della regina di Cartagine Didone nello struggente finale di Dido and Aeneas, abbinato al frizzante ricamo vocale dell’Actéon di Charpentier dalle Metamorfosi di Ovidio.

Tutte opere di ambientazione levantina accolte da applausi scroscianti ad ogni aria da un pubblico multiculturale, che ha preso il posto degli antichi pellegrini che qui trovavano protezione e cure. Così la prima edizione del festival Meet in Galilee di Akko, ha fatto scoprire a Israele l’opera barocca che la scorsa domenica ha fatto il suo debutto assoluto in un Paese dove non era mai stata eseguita. «Sinora è stata ascoltata musica barocca liturgica nelle chiese in Israele, ma mai l’opera. Il nostro scopo è quello di costruire ponti tra l’Occidente e l’Oriente attraverso la musica». Non ha esitazioni Muriel Haim, l’ideatrice del Festival, non a caso basato nella vecchia Acri, esempio di tolleranza dove da secoli convivono le religioni cristiana, musulmana, ebrea, bahai e drusa. Anche lei piange la scomparsa di Shimon Peres, di cui conosce la figlia, avvenuta ieri, «uno degli ultimi grandi padri fondatori del Paese.

Tutto quello che ha fatto, anche negli ultimi tempi, lo ha fatto per questo Paese, con enorme impegno sia a favore della pace sia dello sviluppo delle nuove tecnologie», aggiunge la Haim che ha abbinato alla musica, un forum ad Haifa sull’economia e le nuove tecnologie. «Ho scelto la Galilea per questo Festival perché qui la gente sa come vivere in pace» spiega ad Avvenire. D’altronde a costruire ponti questa energica dottoressa ebrea parigina ha dedicato la vita. Una geriatra che ha lavorato nelle banlieue parigine e che ha uno sconfinato amore per i giovani che l’ha portata prima a fondare a Gerusalemme Beit Ham, un luogo per l’educazione degli adolescenti a rischio, e nel 2005 “ Un coeur pour la paix”, una associazione umanitaria che si occupa di salvare la vita ai bambini palestinesi con gravi patologie cardiache: sinora sono stati operati d’urgenza 651 bambini negli ospedali israeliani grazie ad ambulanze che possono attraversare velocemente i confini tra i territori.

«Stiamo formando i primi cardiochirurgi palestinesi e il prossimo progetto è quello di aprire una sala operatoria in Palestina», aggiunge Haim che collabora anche con religiosi e religiose cattoliche che vivono a stretto contatto con la popolazione palestinese e segnalano i casi alla sua associazione. «Vorrei collaborare ancora di più con i francescani della Custodia di Terra Santa. I bambini sono la cosa più importante per me. Questa collaborazione per la cura di bambini senza speranza, anche per le condizioni economiche delle loro famiglie, ha aiutato a stabilire rispetto e fiducia tra israeliani e palestinesi – spiega la dottoressa –. Quando un bambino è malato, tutti i conflitti si fermano per curarlo.

Con la musica è la stessa filosofia. Così ho cominciato questo festival, per rinforzare l’unità fra culture differenti». Una sfida raccolta con entusiasmo dal maestro Christophe Rousset, clavicembalista francese di fama e fondatore 26 anni fa dei Talens Lyriques, prestigioso ensemble barocco che dona un tocco autentico alle opere con i suoi strumenti d’epoca. 

Opere a cavallo fra XVII e XVIII secolo, scelte per Akko, come ci spiega il maestro Rousset, per il loro legame con il Levante, e che vedono insieme artisti francesi e nuove leve israeliane. Il programma sarà replicato a ottobre a Parigi, «una città complicata anch’essa bisognosa di dialogo» sospira il maestro nato ad Avignone che già pensa al futuro di Meet in Galilee. «Le opere con un legame con la Terra Santa sono infinite, italiane, francesi, tedesche, a partire dal successo della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso che ha segnato un’epoca, da Monteverdi a tanti altri. Mi piacerebbe – ci anticipa – anche proporre una serie di opere legate alla Bibbia come Ester, Betulia liberata' e qualche oratorio ebraico».

Rousset, dopo aver diretto l’ensemble, recitato coi cantanti e suonato il clavicembalo, si gode il successo, pronto il 15 ottobre a debuttare a Versailles con la prima mondiale in tempi moderni de Les Horaces, opera in francese di Antonio Salieri. Ma anche lui ha il pensiero fisso ai “suoi” ragazzi. Pionieri nella creazione di orchestre nei collegi, Les Talens Lyriques formano da anni allievi non musicisti alla pratica orchestrale, mettendo a loro disposizione per quattro anni uno strumento e due ore di lezione di musica settimanale con mediatori culturali, musicisti e professori di musica. «È una scuola di vita, specie nei quartieri difficili di Parigi – ci racconta illuminandosi con un sorriso Rousset –. L’idea è quella di seminare bellezza. Sembrerà strano ma i ragazzi si emozionano moltissimo, perché la musica barocca è più immediata e accessibile di quella romantica, le voci sono più naturali. Il problema è vivere insieme.

Magari fino a poco prima questi ragazzi litigano e si picchiano, ma quando suonano insieme si crea l’armonia. Mi piacerebbe fare come Barenboim, che fa suonare insieme ebrei e palestinesi. L’arte deve essere parte della vita, non elitaria ». Sarà anche perché molta parte del repertorio barocco ha a che fare con la spiritualità? Come nello Stabat Mater di Pergolesi che Rousset e i suoi Talens hanno eseguito al buio nella Basilica della Santa Casa di Loreto il 10 settembre scorso a causa di un black out. «Già era una emozione suonare davanti alla Santa Casa, poi il buio – racconta –. Abbiamo suonato senza gli spartiti, alla cieca, poi pian piano il pubblico ci ha fatto luce con i cellulari.

È stato un momento speciale, davvero una sorta di miracolo». Il maestro lo dice da laico rispettoso della fede. «Per me la religione è una fonte culturale. Ho letto tutta la Bibbia per comprendere la pittura di cui sono appassionato, per capire quello che vedo e le nostre radici – conclude il maestro –. Non sono credente, ma quando dirigo una Messa o uno Stabat Mater mi piace mettermi nei panni di un credente fervente. Di recente nel dirigere la Passione secondo Giovanni di Bach sono arrivato a un momento musicale talmente sublime che volevo fermare il concerto e restare sospeso per sempre...».

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