Statua di Isabella di Francia, chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois, Parigi - WikiCommons
Chi è Isabella di Francia? Figlia di Luigi VIII e Bianca di Castiglia, vissuta in pieno XIII secolo, morta in odore di santità, la sua fama è stata lungamente offuscata da quella del fratello, re Luigi IX, il santo re crociato, a tal punto da ritardarne la beatificazione, giunta soltanto nel 1521. La sua vicenda è narrata con dovizia di particolari da Agnese di Harcourt, sua dama di compagnia, una quindicina d’anni dopo la morte. Non esente da intenti agiografici, l’opera ha un’importanza peculiare: si tratta, infatti, della prima biografia di una donna redatta da una donna. Il fatto è già di per sé straordinario. Stupisce, dunque, il silenzio nei suoi confronti. In tempi di programmatica affermazione della cosiddetta “storia di genere” – benemerita, nella misura in cui l’attenzione per la donna non si presenti quale prodotto d’un pensiero militante ma come elemento costitutivo d’un continuum storico (e storiografico) da secoli declinato al maschile – si tratta d’un elemento importante.
Giunge a colmare questa lacuna un volume recentemente edito in italiano dalle Editrici Francescane, Isabella di Francia. Sorella di San Luigi (pagine 306, euro 27,00), curato da Jacques Dalarun, francescanista di fama, da sempre attento alle figure femminili dell’Ordine, Sean Field, autore di studi sulle donne sante capetingie, e Marco Bartoli, tra i massimi specialisti di santa Chiara e dei suoi scritti. Si tratta della nuova edizione di un testo edito a Parigi dieci anni fa (Jacques Dalarun, Sean L. Field, Jean-Baptiste Lebigue, e Anne-Françoise Leurquin-Labie, Isabelle de France, sœur de Saint Louis. Une princesse mineure, Parigi, Éditions franciscaines, 2014), in cui sono comprese le principali fonti relative alla donna, accompagnate da un’ampia introduzione relativa al periodo in cui Isabella è vissuta, con particolare riguardo all’Ordine religioso da lei istituito e alla rispettiva regola religiosa.
Di Isabella abbiamo diverse notizie. Agnese racconta di come passasse le giornate nello studio, dedicandosi, in particolar modo, all’apprendimento del latino e alla lettura delle Sacre Scritture, ovvero in silenzio in lavori di cucito. Destinata a Corrado di Svevia, figlio dell’imperatore Federico II, rifiutò il matrimonio, desiderando la verginità. A seguito della morte della madre, col sostegno del fratello, assurto al trono, decise di dedicarsi alla cura dei poveri e dei malati. La lettura di un’opera di Gilberto di Tournai, teologo francescano, la spinse, nel 1254, ad abbracciare il proposito di vita dell’Assisiate, allontanandosi dalla tradizionale vicinanza familiare all’Ordine cistercense. Sino alla morte, avvenuta nel 1270 – contemporanea a quella del fratello, spentosi sulla spiaggia di Tunisi nel corso della sua seconda crociata – avrebbe mantenuto saldo il proposito di seguirne l’esempio, impiegando la propria dote per la costruzione d’un monastero d’ispirazione francescana a Longchamp, nei pressi di Parigi. Senza divenirne badessa ma vivendo in una casa situata nei pressi. Tali intenti avrebbero spinto papa Alessandro IV a indirizzarle la lettera Benedicta Filia tu, contenente un lungo elogio dei suoi meriti e dei suoi progressi spirituali, capaci di suscitare l’emulazione di altre giovani. Per la redazione della regola di vita della propria comunità, coinvolse i massimi teologi parigini, tra cui Bonaventura di Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine francescano. Non è chiaro il livello d’intervento di Isabella nella stesura del testo, benché si possa presumere fosse notevole. Ella ottenne, infatti, un’apposita dispensa rispetto alla norma del concilio Lateranense IV che vietava l’erezione di nuovi Ordini religiosi, prescrivendo alle nuove formazioni l’adozione delle regole esistenti.
A prima vista, siamo di fronte a una vicenda esemplare. Se non fosse ch’essa è testimoniata da una cospicua mole di documenti, resi ora disponibili agli studiosi. L’Ordine delle Sorores minores inclusae ebbe un discreto sviluppo: in Francia, in Inghilterra, in Italia. Inevitabile, il confronto con Chiara d’Assisi, la cui regola sarebbe stata approvata nell’ottobre del 1263, pochi mesi dopo quella di Isabella, la quale ebbe un’ampia diffusione. Rispetto alla forma vitae delle clarisse, alla professa era richiesto maggiore rigore: l’obbligo della clausura era rafforzato dal voto di perpetuità. Oltre a ciò, era ammesso il possesso dei beni, amministrati da un procuratore. Non era la povertà materiale a interessare la principessa di Francia, ma l’umiltà di spirito; tanto più importante nell’ambito del contesto nobiliare da cui proveniva. Al pari di Chiara, Isabella risalta quale interprete della religiosità del proprio tempo, perennemente in bilico tra esaltazione e disprezzo del mondo. Siamo di fronte, insomma, a una figura importante, la cui riscoperta costituisce un tassello ulteriore nella comprensione della diffusione degli ideali mendicanti tràditi dal francescanesimo in tutta Europa.