giovedì 24 marzo 2016
Pasqua 1916: il trionfo della mistica Irlanda
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Il foro di un proiettile esploso cento anni fa, nei giorni della grande insurrezione di Dublino della Pasqua 1916, è ancora ben visibile su uno degli angeli alati che circondano il monumento bronzeo di Daniel O’Connell, nel cuore della capitale irlandese. Può sembrare una tragica ironia della sorte, poiché nell’Ottocento colui che gli irlandesi hanno ribattezzato il “Liberatore” lottò per tutta la vita con metodi nonviolenti per raggiungere l’emancipazione dei cattolici del suo Paese. Un secolo fa tutta l’Irlanda era una colonia britannica. I ribelli che insorsero contro l’Impero non avevano scelto a caso quei giorni. Volevano compiere un gesto capace di risvegliare la coscienza nazionale identificando la rivolta con la Pasqua di Resurrezione.  «Nel nome di Dio e delle generazioni scomparse dalle quali deriva la sua lunga tradizione nazionale, l’Irlanda per mezzo nostro chiama i suoi figli sotto la sua bandiera e lotta per la propria libertà»: così iniziava la storica proclamazione del governo provvisorio della Repubblica, letta da Patrick Pearse il Lunedì di Pasqua del 1916 davanti all’edificio delle Poste Centrali di Dublino, nell’odierna O’Connell Street. L’elemento spirituale della rivolta fu dunque scolpito nel documento su cui il moderno stato irlandese affonda le proprie radici. Per giorni, il NewYork Times dedicò all’insurrezione di Dublino articoli firmati da un reporter dal nome evocativo, Joyce Kilmer, che non mancò di sottolineare come gran parte dei leader degli insorti erano poeti, insegnanti e letterati che andarono in battaglia «con la pistola in una mano e un libro di Sofocle nell’altra », mentre monsignor Michael O’Riordan, all’epoca rettore del Pontificio Collegio irlandese di Roma, raccontò in un famoso resoconto: «Negli edifici occupati e difesi dagli insorti, si recitarono senza interruzione corone del rosario e altre devozioni. Nella domenica durante la sommossa, cercarono di avere un prete che celebrasse la messa per loro, onde compiere il precetto festivo». Eppure, la Easter Rising era stata organizzata e combattuta da un gruppo assai eterogeneo di ribelli.  A Patrick Pearse, il rivoluzionario-poeta, aveva fatto da contraltare il marxismo di James Connolly; ai combattimenti presero parte esponenti della bor- ghesia anglo-irlandese, ma anche operai, sindacalisti, giovani e donne delle classi popolari. I ribelli riuscirono a impadronirsi di postazioni strategiche in gran parte della città e a sfidare apertamente il potente esercito britannico, sebbene fossero soltanto una milizia male armata composta da meno di duemila effettivi. Alla fine furono costretti ad arrendersi, ma il loro eroismo cambiò la storia radicalizzando l’opinione pubblica del Paese, fino a quel momento riluttante a rivoltarsi contro gli inglesi. Fu anche il colpo di grazia al decadente Impero britannico, esempio per altri Paesi in lotta per l’emancipazione: India, Australia e Sudafrica in primis. In pochi giorni, gli inglesi fucilarono i leader della rivolta trasformandoli in martiri agli occhi del popolo e in figure leggendarie che avrebbero ispirato la letteratura contemporanea.  Come il leader socialista James Connolly, che nelle ultime ore di vita si comunicò in carcere e il diplomatico Roger Casement, di famiglia protestante, che si convertì al cattolicesimo in punto di morte, chiedendo l’eucaristia prima di essere impiccato. Il primo a suggellare il simbolismo del loro sacrificio fu il premio NobelWilliam ButlerYeats nella poesia Easter 1916. «Ora e nei tempi che verranno – scrisse con toni elegiaci – ovunque si indossi il verde / sono cambiati, cambiati completamente / è nata una terribile bellezza». Cinquant’anni dopo, anche la scrittrice inglese Iris Murdoch, nel romanzo Il rosso e il verde, riconobbe che i ribelli «erano rimasti giovani e perfetti per l’eternità perché si erano immolati in nome della giustizia, della libertà, dell’Irlanda ». Ai giorni nostri un altro premio Nobel, il peruviano Mario Vargas Llosa, ha decantato la valenza mistica, oltre che civile, della libertà irlandese nel romanzo Il sogno del celta. Sono soltanto i casi letterari più noti, ma neanche il potere della letteratura basta per rendere giustizia al significato politico e sociale che la Easter Rising continua ad avere per l’Irlanda. In questi giorni culmineranno in tutta l’isola le grandi celebrazioni del centenario che da mesi sta impegnando lo Stato, la società civile e il mondo accademico e culturale con l’obiettivo d’interpretare un eventochiave della recente storia europea e trarne una spinta per il futuro. Nel giorno di Pasqua il testo della storica Proclamazione sarà letto davanti all’edificio delle Poste centrali, poi il presidente della Repubblica Michael Higgins deporrà una corona di fiori alla memoria dei caduti, infine una grande parata militare attraverserà Dublino. Le celebrazioni proseguiranno per tutto l’anno anche se non saranno prive di polemiche a causa della ferita aperta rappresentata dal Nord. Non pesano le defezioni di qualche politico nordirlandese o i timori di azioni dei gruppi contrari al processo di pace, quanto l’ottuso revisionismo di chi vede nella rivolta di un secolo fa la genesi della violenza che ha insanguinato l’Irlanda del Nord. La speranza è nei giovani. Nelle settimane scorse le scuole primarie del Paese hanno ricevuto una copia della Proclamazione del 1916. Ai bambini è stato chiesto quali dovrebbero essere le priorità in un’ipotetica nuova proclamazione. Le risposte? Porre fine alle ingiustizie economiche, offrire a tutti una corretta assistenza sanitaria e combattere ogni discriminazione.
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