martedì 13 luglio 2021
Il neologismo indica una nuova disciplina per l’uomo dell’era digitale che richiede rinnovati approcci sul piano cognitivo, psicologico, urbanistico per renderlo ancora protagonista del suo mondo
Una nuova disciplina per l’uomo dell’era digitale: l’«antronomo»

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Nel nuovo fascicolo della rivista bimestrale “Vita e Pensiero” l’editoriale celebra i cent’anni dell’Università Cattolica con interventi del rettore Franco Anelli, dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini e del presidente Mattarella. Nella sezione 'Discussioni' viene presentato un articolo del teologo Luca Peyron e di Vittorio di Tomaso, cofondatore di Blogmeter, sull’antronomia, ovvero la questione dei «saperi nella condizione digitale» di cui qui anticipiamo ampi stralci. Nella stessa sezione: nell’Intelligenza artificiale vince la tecnologia o l’uomo? La risposta di Giuseppe Riva, direttore di Humane Technology Lab; una riflessione del giurista Gabriele Della Morte sull’utilità e i pericoli degli algoritmi nella nostra vita. Inoltre: Fratelli tutti tra solidarietà sociale e fede nel mercato, un confronto tra Pankaj Mishra, Marilynne Robinson, Michael Sandel. E ancora: la debolezza delle nuove folle secondo il politologo Damiano Palano, un ritratto del ribelle antiPutin Naval’nyj di Luigi Geninazzi, le proteste in Asia e il fattore religioso di Gerolamo Fazzini, l’opinione degli economisti Gaël Giraud e Thomas Pikett sulla la riformabilità del capitalismo.

È un fatto tipico dell’organizzazione sociale che per svolgere i compiti più importanti vi siano persone che più di altre sono delegate a stare sulla scena, ed è in questo snodo che si colloca la nostra proposta. Nei processi ad alto tasso di innovazione, specialmente riferiti al digitale, si rende oggi auspicabile la presenza di una figura che abbia le competenze necessarie e i poteri sufficienti per porre la questione dell’umano, facendo cioè in modo che il processo di innovazione sia accettabile e corretto nell’impatto sulla condizione umana, del singolo e dei molti. Non è infatti pensabile che sia sufficiente un quadro normativo – pubblico o privato – di carattere etico e valoriale. Tale quadro si colloca di fatto a monte dei processi, eventualmente sanzionando o limitando gli esiti. Inoltre, la velocità e l’accelerazione della trasformazione digitale sono tali che la previsione normativa classica, nazionale o ancora peggio internazionale, non è in grado di stare al passo e neppure lo è la prassi giurisprudenziale. Bisogna porsi a monte del processo, governandolo dal principio o, per meglio dire, disegnandolo dal principio. Questa nuova figura professionale che qui si propone è quella dell’“antronomo”. Il neologismo che abbiamo coniato racchiude in sé il termine “nomos”, norma-legge-regola, e “antropos”, umano. L’antronomo è colui, o colei, che inserisce nel processo e nei suoi esiti la condizione umana, l’umano come norma primigenia affinché tale processo abbia un esito antropico, capace cioè di custodire e preservare la vita umana e con essa la vita in senso più ampio, l’ecosistema in cui l’umano vive, genera e prospera. L’antronomo si colloca al crocevia di diversi saperi con una visione che deve essere a un tempo umanistica e tecnica, di visione e di dettaglio. La preparazione accademica di cui è provvisto/a deve comprendere le nozioni di base necessarie a leggere la condizione digitale dal punto di vista tecnico, storico e sociale a cui si aggiunge una conoscenza specifica di settore. Non possiamo più permetterci di “rompere le cose” e poi chiedere scusa tentando di aggiustarle: gli effetti possono essere dirompenti e irreversibili. E siccome il digitale produce effetti sulla sfera cognitiva ed emotiva degli individui, è necessario, per esempio, formare una nuova generazione di psicologi che possano intervenire all’interno dei processi decisionali delle aziende mettendo al centro il benessere cognitivo degli utilizzatori dei servizi digitali. L’antronomo psicologo è il custode, all’interno del processo di progettazione dei servizi digitali, del benessere psicologico degli utenti, esattamente come l’ingegnere addetto alla qualità garantisce che lo sviluppo di un asciugacapelli o di un aereo passeggeri non porterà alla creazione di un prodotto pericoloso. L’antronomo porta questa conoscenza nelle aziende ed è in grado di intervenire in tutto il processo di ideazione e sviluppo dei servizi, poiché questa competenza è assente, ma è necessaria. L’antronomo architetto disegnerà le città in cui possano correre le macchine a guida autonoma o le fabbriche in cui uomini e macchine interagiscono, così l’antronomo che si occupa di organizzazione aziendale dovrà rivedere l’impatto della transizione digitale negli assetti e nelle modalità di interazione tra le persone, con le macchine, tra le macchine e via dicendo. Anche se fabbricare neologismi è un po’ una moda della condizione digitale, il nostro desiderio è invece quello di anticipare il futuro creando figure professionali che lo plasmino il futuro, presidiando alcuni dei timori di questo tempo e dando corpo a quante più speranze possibili perché in una realtà più importante dell’idea, come si legge in Evangelii gaudium (n. 223), «si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci». Così si potrà guardare alla tecnologia sempre più come esercizio vocazionale e sempre meno come strumento di forza e di potere, consci che «siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere» (Lettera enciclica Laudato si’, n. 178). L’antronomo genera processi che siano antropologicamente accettabili se non desiderabili, economicamente remunerativi restando giusti, tecnologicamente efficaci ed efficienti, ma non sostitutivi della funzione che sempre va custodita: l’esercizio dell’umano.

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