martedì 6 dicembre 2011
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Mancava il nome di un italiano nell’esercito dei cosiddetti baby direttori che spopolano nel mondo della musica classica. Ora c’è. Si chiama Andrea Battistoni, ha 23 anni, è di Verona ed è fresco di nomina a Primo direttore ospite del Regio di Parma. Domani aprirà la stagione sinfonica del teatro con un omaggio a Liszt «un autore da riscoprire in questo 2011 che ne celebra i 200 anni dalla nascita. Vicino ai giovani perché, come loro, era attento a seguire le mode del suo tempo. Non per un capriccio, ma per essere al passo con la società».Quello che sembra mancare oggi alla musica classica, Battistoni.Tanto più che non è proprio il momento di chiuderci nel nostro mondo rischiando di sparire. Noi musicisti siamo chiamati a reinventarci la professione allargando gli orizzonti ad altri generi musicali. Penso che i giovani in questo possano dire la loro.Quindi è d’accordo con Napolitano che nel messaggio di fine anno ha invitato i ragazzi a darsi da fare?Il periodo di crisi che stiamo vivendo paradossalmente potrebbe aiutare a far emergere giovani talenti con idee nuove. Sempre che si diano una mossa. Un diplomato in Conservatorio non può pensare di aspettare che gli piombi addosso un posto di insegnante. Così come un direttore non può sognare solo le grandi orchestre: deve mettere in conto gavetta e fatica.Facile dirlo avendo già in agenda impegni con teatri come la Scala e la Fenice.Ma mi sentirei realizzato anche dirigendo un’orchestra di ragazzi o suonando il violoncello ai matrimoni. Perché ho scommesso sulla musica. Forse è il coraggio che manca ai giovani della mia generazione.È anche vero che l’unica prospettiva che vedono all’orizzonte è il precariato.Anche se per quel che riguarda la musica classica posso dire che stiamo assistendo a una timida apertura verso i giovani musicisti. Certo, molti sono ancora costretti ad andare all’estero. Anch’io sarei disposto a emigrare pur di non abbandonare la musica che in casa mio ho respirato sin da piccolo e che ho fatto diventare la mia vita.Ventitré anni e già pieno di impegni. Come fa a tenere i piedi per terra?La fortuna di chi fa il direttore d’orchestra è che ogni giorno si ha a che fare con opere di geni assoluti di fronte alle quali qualsiasi talento è piccolo. Un bell’esercizio di umiltà. E poi vivo la quotidianità con la mia famiglia e i miei amici con i quali, appena posso, vado al cinema o a bere come qualsiasi ragazzo di 23 anni.Quindi la classica non è l’unico orizzonte della sua vita?Macché. Suono persino il basso in una band di hard rock. Abbiamo in repertorio brani degli Ac/Dc e dei Deep Purple. L’unico criterio che ho è quello di poter fare musica di qualità, senza distinzione di genere. Penso che non dovrebbe esserci differenza tra l’entusiasmo degli interpreti pop e quello che si dovrebbe respirare in un’orchestra che affronta pagine di ieri. Anche per conquistare i giovani strappandoli, magari, alla tv.Per farlo lei andrebbe sul piccolo schermo?Non nella tv dei reality dove il talento è il grande assente. Occorrerebbe un format per dimostrare ai giovani che se suoniamo i grandi del passato è perché hanno ancora qualcosa da dirci. Oggi, però, quando la tv si occupa di musica ha un approccio didattico, quasi a dire: «Vi insegniamo cos’è la musica». Senza badare a quali emozioni può trasmettere.
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