sabato 7 dicembre 2024
Tutto parte dalla relazione considerata disonorevole tra Leonora e don Alvaro, un nobile meticcio della famiglia reale Inca
Le prove generali della “Forza del destino” che staserà inaugurerà la stagione della Scala

Le prove generali della “Forza del destino” che staserà inaugurerà la stagione della Scala - Brescia/Amisano/Teatro della Scala

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Un melodramma monumentale e articolato, con una trama sfaccettata che si snoda tra vicende e tematiche diverse: è La forza del destino di Giuseppe Verdi. L’opera di cui alcuni teatranti, in passato, si rifiutarono di pronunciare il titolo a causa di sfortunate coincidenze capitate durante le rappresentazioni o a chi lavorava tra le maestranze artistiche e tecniche. Per superstizione diventò così consuetudine definirla “innominabile”. L’opera si dimostrò complessa ancora prima di debuttare il 10 novembre 1862 al Teatro Imperiale di San Pietroburgo. Lo spartito era già pronto l’inverno precedente, ma il soprano protagonista era indisposto e la prima fu rinviata all’anno dopo. Composto da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave e tratto da Alvaro o la forza del destino di Ángel de Saavedra, il melodramma in quattro atti racconta una storia densa e intricata, in cui ad alternarsi sul palcoscenico non sono soltanto i personaggi, ma anche i temi spesso contrastanti. Primo fra tutti, l’amore che si contrappone al rifiuto, quello del marchese di Calatrava per il matrimonio tra la figlia Leonora di Vargas e don Alvaro, nobile meticcio discendente della famiglia reale Inca. Nella Siviglia della metà del XVIII secolo, un legame di questo genere è ritenuto disonorevole e i due innamorati sono pronti a fuggire. Il marchese, però, li sorprende. È armato e dalla sua pistola esplode accidentalmente un colpo che lo uccide. Leonora e Alvaro scappano, ma don Carlo di Vargas, il fratello della giovane, è sulle loro tracce per vendicare il padre. In un’osteria incontra un gruppo di pellegrini: Leonora, travestita da uomo, è tra loro, diretta al Monastero della Vergine degli Angeli per diventare un’eremita credendo Alvaro morto. Dal racconto di Carlo scopre che, in realtà, è ancora vivo, ma preoccupato per la propria incolumità. Un’angoscia che convince ulteriormente Leonora a ritirarsi, sentendo di dover pagare per ciò che è accaduto. Il racconto si sposta in Italia, nel Lazio. Alvaro, anche lui convinto che la sua amata sia morta, è tra i granatieri spagnoli in guerra contro gli Imperiali. Durante lo scontro salva un soldato che si rivela essere Carlo. All’inizio i due non si riconoscono, ma quando Carlo scopre l’identità del compagno, non rimane che un duello per sistemare la questione. Ancora una volta, la fuga è l’unica soluzione per Alvaro, che prende i voti nel monastero della Vergine degli angeli. Carlo lo trova e lo sfida di nuovo, ma il nobile Inca lo ferisce a morte. Tutto accade vicino al rifugio in cui Leonora si è ritirata. Inizialmente spaventata dall’uomo che le si para davanti, alla fine riconosce in lui Alvaro. Si precipita da Carlo per soccorrerlo, ma lui, ancora intenzionato a vendicare il padre, la pugnala. La giovane muore così tra le braccia di Alvaro. A tessere la trama sono dinamiche intricate, mosse da psicologie, caratteri e sentimenti altrettanto complessi. Ma, del resto, non poteva essere diversamente per un’opera che già nell’intento iniziale di Verdi doveva risultare monumentale, sullo spartito prima che a teatro. C’è, però, un fil rouge che mette ordine: il destino che i personaggi devono affrontare, che prima o poi arriverà e a cui non possono sfuggire. Come se, al di là degli intrecci che complicano la vicenda, alla fine tutto si sgarbugliasse per giungere all’unica soluzione possibile, accettare la propria sorte.

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