giovedì 10 gennaio 2013
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Alza sempre l’asticella, Luca Pancalli. Tra poco più di un mese con ogni probabilità diventerà segretario generale del Coni, ma il suo obiettivo rimane un altro, in un crescendo iniziato 12 anni fa. Il prossimo traguardo dell’attuale presidente del Comitato Italiano Paralimpico è la realizzazione di una casa comune dello sport italiano. Senza aggettivi. Dove troveranno uguale spazio atleti disabili e normodotati. Nel corso di questi anni lo sport paralimpico italiano è cresciuto moltissimo: dopo i Giochi di Londra, l’Italia è al 13° posto nel ranking mondiale migliorando la 26ª posizione di quattro anni fa. Pancalli tiene sempre premuto il cronometro per migliorare i risultati sportivi. Nel cuore però ha «il sorriso di Martina Caironi che a Londra ha vinto i 100 metri dopo che un pirata della strada gli strappò una gamba». Il mondo paralimpico supera gli ostacoli. È lo stesso Luca Pancalli a raccontarlo nella sua autobiografia. «Il momento che sto vivendo - spiega - rappresenta un’evoluzione, piuttosto che la chiusura di un ciclo. Dodici anni fa quando fui nominato al vertice della Federazione italiana sport disabili, immaginavo la nascita del Comitato italiano paralimpico (Cip) e oggi i tempi sono maturi per la fusione del mondo paralimpico con quello olimpico».Che vantaggi ci saranno?La società diventa civile quando i vari pezzi si integrano, si fondono. Il Cip rappresenta una parte dello sport e a lui è stata delegata questa responsabilità. Quando ci sarà un’unica realtà, chi la rappresenta sentirà che il suo impegno è verso tutti, che non avrà la responsabilità solo di una parte. Il fatto che l’arciere Oscar De Pellegrin sia stato nominato rappresentante degli atleti, disabili e non, della Fitarco è un ottimo successo. Questo vale più di 10 anni di battaglie. Oscar è stato nominato perché è un atleta che gode della stima personale e professionale di tutti gli arcieri. La sua presenza sarà il modo per far entrare in circolo una nuova cultura dello sport.Il 2 febbraio si svolgono le elezioni per il rinnovo delle cariche del Comitato italiano paralimpico. Si ricandida comunque alla presidenza?Sì. Me lo chiedono e ne sono convinto. Penso che tutti gli uomini su questa terra hanno una missione, la mia è quella di lavorare per lo sport. Fra qualche anno sarà normale parlare di sport paralimpico, come oggi si fa per quello olimpico. Lo sognavo quando ero un atleta, lo sognano gli atleti di oggi». Cosa accadrà se il 19 febbraio, giorno delle elezioni nell’ambito del Coni, diventerà segretario generale?Mi dimetterò da presidente del Comitato italiano paralimpico, al mio posto sarà nominato un presidente vicario, scelto in quell’occasione, che continuerà tutte le attività del Comitato. E se non sarà nominato?L’obiettivo della fusione del mondo paralimpico con quello olimpico è qualcosa di molto importante che va al di là dei ruoli. Lavorerò per raggiungerlo, qualunque sarà la mia veste. Non nascondo che mi auguro di perseguire il mio obiettivo fra le fila del Coni. Con Raffaele Pagnozzi, candidato alla presidenza, c’è un’ottima sintonia e insieme pensiamo di arrivare quanto prima alla creazione di questa casa comune dello sport italiano. Non abbandono il Comitato, semplicemente vado in avanscoperta. E per le elezioni politiche, ha ricevuto qualche proposta?Fare politica significa essere al servizio della comunità, io faccio politica nello mio lavoro. Non necessariamente l’impegno politico è quello in Parlamento.L’eco delle Paralimpiadi di Londra sta portando più persone in palestra?Sicuramente è un dato che misureremo in maniera sempre più importante nel corso del tempo. Nell’immediato c’è una grande crescita di immagine, anche grazie ad atleti molto noti come Alex Zanardi, o Annalisa Minetti. Ma voglio citare anche Assunta Legnante, Cecilia Camellini, Martina Caironi, e tutti gli altri azzurri. Registriamo anche molte richieste di informazioni per cominciare l’attività sportiva. Oggi tutti gli italiani sanno cos’è una Paralimpiade e molti si sono appassionati. C’è un interesse mai visto prima?Non è stato però un colpo di fulmine. Il grande exploit londinese ce lo siamo costruito. Direi che abbiamo capitalizzato quanto fatto in 12 anni. È come se ci fosse stata la presenza contemporanea di tutti i migliori ingredienti per fare la più gustosa delle torte. L’attenzione dei mass media non è stata dovuta a un innamoramento a prima vista, ma alla conoscenza costante nell’arco di diversi anni con la consapevolezza della reciproca crescita. Anche a livello internazionale riconoscono il nostro impegno.Oggi lei presenta a Roma “Lo specchio di Luca”, l’autobiografia scritta insieme al giornalista Giacomo Crosa. Perché lo specchio? Ogni mattina quando faccio la barba, davanti allo specchio, provo una grande autonomia e non ho mai smesso di ricordare il bruciante dolore della non autonomia nei mesi di ricovero dopo l’incidente. E poi c’è un altro fatto. Quando, per la prima volta, mi hanno fatto sedere su di una carrozzina mi hanno portato in corridoio. Lì la mia immagine si è riflessa in uno specchio dove vedevo due Luca Pancalli: quello del corpo, cioè un 17enne che aveva paura di quanto gli stava accadendo, e quello che avevo in testa: il solito pentatleta innamorato dello sport.
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